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2011. Il difficile percorso del riequilibrio

Il 2010, appena concluso, è stato un anno di crisi convulse nell’area dell’euro e della messa in atto di paratie per scansarle – argini testati, al momento in cui viene scritta questa nota, nei casi della Grecia e dell’Irlanda. Il 2011 appena iniziato si dovrebbe caratterizzare come l’anno in cui l’Europa, presa contezza delle profonde trasformazioni dell’economia internazionale, inizia un lungo e non facile percorso di riequilibrio. Le scelte di politica economica per l’Italia – quali che siano gli scenari politici – sono condizionate da questo percorso, e non possono essere compiute che nel suo alveo.
 
Il percorso è indicato a tutto tondo dal Global Outlook, lo studio annuale sull’economia internazionale prodotto dall’Istituto affari internazionali (Iai), pubblicato a fine 2010. Un lavoro che, per il provincialismo di molta stampa italiana, sempre pronta a dare rilievo alle fonti straniere, riceve meno attenzione di quel che merita. Il documento illustra l’evoluzione dei consumi mondiali tra due gruppi di Paesi dal 2007 al 2025. Il primo comprende Stati Uniti, Giappone, Francia, Italia. Il secondo Cina, India, Russia, Brasile, Messico, Corea del Sud. La Russia – aquila a due facce – appartiene ad ambedue, in quanto sia “sviluppata” sia ancora “emergente”. Nel 2007, il primo gruppo rappresentava il 43% dei consumi mondiali e il secondo il 24%. Nel 2025 – in base alle previsioni economiche Iai (che tengono conto, a loro volta, di quelle di una ventina di modelli) – il primo gruppo assorbirà il 40% dei consumi mondiali, il secondo il 37%. Nella loro cruda semplicità, queste due cifre fanno toccare con mano il processo di trasformazione economica in atto. Mentre dall’inizio dell’Ottocento (quando l’economia di sussistenza imperversava in tutto il mondo e la somma del Pil di India e Cina era pari al 45% circa di quello mondiale), le innovazioni tecnologiche (meccanica, elettricità, telefonia) sono state per due secoli monopolio di un ristretto gruppo di Paesi del nord del mondo (Europa e Stati Uniti), la nuova ondata di innovazioni legate alla tecnologia dell’informazione e comunicazione ha quasi abbattuto le distanze di tempo e di spazio, spezzando il monopolio della creatività e dell’innovazione.
Il percorso del riequilibrio è reso più difficile, specialmente per Usa ed Ue, dall’esplosione del debito pubblico innescata o aggravata dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 – una pesante ipoteca sulle politiche di crescita differenti da quelle basate su una massiccia liberalizzazione nei servizi (di ardua attuazione a ragione delle ricadute occupazionali, almeno di breve periodo).
 
Quali le implicazioni dell’Italia? Il governo e il Parlamento (quale che siano i loro colori politici) dovranno tener dritta la barra dei conti pubblici: le stime più ottimistiche (dell’Economist intelligence unit) pongono al 120% il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil, un Himalaya che non si può scalare facendo leva sulla crescita che nei prossimi anni sarà molto contenuta (attorno all’1% l’anno) in tutti i Paesi dell’area dell’euro (con l’eccezione della Germania). Inoltre la struttura produttiva del Paese, costituita da piccole e medie imprese, specialmente nel manifatturiero, da elemento di forza (come sottolineato dalla Fondazione Edison) potrà verosimilmente diventare elemento di debolezza nell’uscita dalla crisi e nel futuro dell’economia mondiale. La Germania mostra di essere riuscita ad aumentare il grado d’internazionalizzazione (ora doppio dell´Italia, mentre era pari al nostro nel 1995-1999) tramite un processo di concentrazioni aziendali in cui servizi e manifatturiero sono stati integrati nelle stesse imprese al fine di aumentare competitività tramite una più efficace catena del valore.
Gli anni Novanta, ricordiamolo, sono stati quelli della concentra¬zione del sistema bancario italiano (composto, all’inizio del periodo, da circa 600 istituti) attorno a cinque-sei poli. La politica pubblica dovrebbe adesso favorirne uno analogo nel manifatturiero e nei servizi.
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