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I ragazzi ribelli di Wall Street

Basta prendere una sedia per unirsi a loro. La roulette della sorte si ferma sulla casella “valute alternative”. In pratica dovrebbero inventarsi un modo per fare a meno dei soldi. Un compito non trascurabile cui si dedicano 20-30 persone di estrazione e competenze assai variegate. La notizia di giornata, però, è che il movimento ha messo da parte circa 700mila dollari, grazie alla generosità di migliaia di sconosciuti supporter.
 
Accumulati a forza di accrediti da biglietti da dieci su PayPal, insieme con cospicui lasciti di celebrità dalle tasche profonde come il loro senso di colpa. Joseph, sessantenne reduce del Vietnam, con in bocca i denti che un’assistenza medica sempre più traballante gli consente, non ha dubbi sul da farsi: «Bisogna serbarli per le elezioni di novembre 2012. Quando il gioco si farà duro, li adopereremo per comprare spot in tv. È cosi che oggi si vincono le campagne».
 
L’uomo accanto a lui, uno dei rari neri della sessione, dice che ci sono cose più urgenti: «Possiamo comprarci una palazzina per ospitare chi non ha da dormire. E anche le nostre attività quotidiane, via dal freddo». Poco meno di metà delle mani si alzano nella peculiare e sulle prime assurda ola silenziosa di dita frementi, che è il loro alfabeto muto per dire “mi piace”. Uno studente universitario, con cappello da baseball e una rada barbetta, è contrarissimo a immobilizzare il capitale: «Come spiega ogni teoria economica, per far fruttare i soldi bisogna soprattutto farli girare. Propongo quindi che ogni membro del movimento apra un suo business e gli altri si impegnino a fare affari con lui.
 
Questa è una vera alternativa». Questo think tank dal basso, composto soprattutto di giovanotti e pensionati, ovvero di una demografia che conosce solo sogni o rimpianti, specializzata in futuro o passato ma assai meno in presente, ha appena partorito la proposta di sostituire i biglietti verdi con una versione hi-tech delle banconote del Monopoli, tipo i Bitcoins che vanno forte sul web. E lo fa in maniera tanto seria e costruttiva, prendendo subito in considerazione la fase operativa, che diventa quasi impossibile reagire come in ogni altra situazione verrebbe naturale: liquidarli con una risata.
 
Ha qualcosa, questo assembramento di anime belle, che sembra disabilitare il cinismo in chi ascolta. La loro apparente ingenuità, l’idea giovanile che nessuna montagna sia abbastanza alta da sconsigliarne la scalata, è kryptonite per i vecchi arnesi da troppo tempo abituati a scambiare quel che è con quello che dovrebbe essere. Tanto più che, quando l’ennesima proposizione bislacca ti spinge a gettare la spugna, persuadendoti che con queste idee non potranno andare da nessuna parte, e anzi è già un miracolo che siano sopravvissuti due mesi, con tanto di nevicata assassina, qualcuno mi racconta di una ventenne che da sola ha messo in ginocchio Bank of America, costringendola a rimangiarsi un aumento del canone sui conti correnti.
 
Soldi veri, non quelli per comprarsi Stazione est o Parco della vittoria. E allora la domanda si ripropone, sempre più urgente, perché ci interpella tutti: sono loro, con la convinzione che tutto si possa ancora cambiare, o piuttosto noi, imbolsiti da tonnellate di ragionevolezza, a vivere in una pericolosa illusione?
 
Estratto da “Occupy Wall Street”, Chiare Lettere, 2012 per gentile concessione dell’autore.
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