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Confindustria fa il check-up all’Agenda Digitale

Consensi, critiche e interrogativi. Per Confindustria digitale, la federazione presieduta da Stefano Parisi, il testo normativo del decreto crescita è coerente con l’obiettivo di dare una svolta all’innovazione del Paese come è stato più volte richiesto anche dalle istituzioni europee. Tra i principali vantaggi attribuiti al Decreto del governo, Confindustria indica l’introduzione nella società ed economia italiane di fattori antirecessivi e di reali opportunità di cambiamento. Tra le mancanze indicate, quella di aver tralasciato alcune aree di intervento molto importanti e l’assenza si scadenze temporali per l’attuazione delle norme previste. In questo scenario, la realizzazione dell’Agenda digitale per l’Italia rappresenta la priorità per creare un ambiente favorevole alla crescita e per uscire dalla crisi strutturale dell’economia, secondo quanto esposto in un documento che Confindustria digitale ha depositato in Parlamento.

 
Meriti e lacune
Il giudizio generale di Confindustria digitale sul provvedimento è positivo: “Secondo le nostre stime queste misure potrebbero portare l’economia digitale in Italia al valore assunto negli altri Paesi, che potrebbe significare per il Paese, nei prossimi anni, un contributo al Pil di 24 miliardi di euro e un aumento occupazionale di circa 300 mila nuovi posti di lavoro” ha affermato Parisi. L’industria italiana dell’Ict – aggiunge Parisi – è pronta a fare la sua parte con investimenti infrastrutturali e su nuove tecnologie, affinché questo importante progetto prenda corpo in tempi rapidi”. L’associazione confindustriale, che ha avuto una proficua collaborazione con la Cabina di Regia dell’Agenda digitale, ha riscontrato nel governo attenzione verso le proposte e i suggerimenti provenienti dalle imprese. Ma ha anche evidenziando una serie di criticità e carenze presenti nel decreto: “E’ opportuno rilevare come il decreto contenga interventi normativi essenziali su molti dei capitoli dell’Agenda Digitale, ma al contempo siano rimaste non trattate alcune aree di intervento molto importanti, e che hanno un alto livello di priorità nell’Agenda Digitale Europea”, si legge nel documento. Il riferimento è alla razionalizzazione dei servizi di e-goverment, allo sviluppo dell’e-commerce a livello nazionale; alla formazione e alle competenze digitali di cittadini, lavoratori e categorie disagiate.
 
Ma ciò che più di tutto preoccupa Confindustria digitale è la mancanza di una declinazione degli obiettivi da raggiungere e le scadenze temporali. L’efficacia e l’incisività di questo provvedimento appare infatti legata ad alcuni fattori: velocità ed effettiva realizzazione di quanto previsto nelle norme e una governance unitaria. Tale governance dovrebbe essere posta in capo alla neonata Agenzia per l’Italia Digitale, ma per Confindustria digitale nell’impianto attuale il ruolo della stessa è spesso marginale: “In alcuni casi l’Agenzia figura come proponente della normativa secondaria, in altri casi fornisce esclusivamente un parere o è del tutto assente”, si legge nel documento. A ciò si aggiungono una serie di limiti strutturali tra i quali svetta l’insufficiente utilizzo delle nuove tecnologie, che Confindustria digitale indica tra le cause del ristagno della nostra produttività.
 
Risparmio digitale
Secondo le stime delle federazione presieduta da Parisi, la digitalizzazione può aumentare la produttività dei servizi pubblici tra lo 0,5 e 1% del Pil annuo. E se quanto previsto dal decreto fosse realizzato compiutamente e rapidamente, per Confindustria digitale non sembra impossibile raggiungere risparmi per 20 mld. di euro nel prossimo triennio. A risentire dell’impatto dell’Agenda Digitale italiana non sarebbe solo la Pubblica amministrazione, ma anche il mercato. Confindustria prevede un risparmio per le famiglie di circa 2.000 euro l’anno che potrebbe venire da minori spese: di gestione delle bollette, delle assicurazioni, dei conti correnti bancari, in turismo e benessere, in trasporti, così come da spese in abbigliamento e alimentari. Si tratta di 48 miliardi di euro l’anno che potrebbero andare ad aumentare i consumi interni. E anche una maggiore propensione al web da parte delle imprese potrebbe giovare al sistema Paese: “Se tutte le imprese italiane aumentassero solo dell’1% il loro fatturato estero attraverso le vendite on-line, le nostre esportazioni totali aumenterebbero dell’8% pareggiando il saldo import-export di beni e servizi”, sottolinea Confindustria digitale.
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