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Ci salveranno Francoforte e l’inflazione

Poiché siamo disabituati agli scenari positivi, i prossimi due anni ci sembreranno ancora più belli di quello che saranno in realtà. Questa fase di temporanea remissione della crisi e di apparente guarigione sarà dovuta all’intensificazione delle politiche monetarie espansive e al fatto che l’inflazione non costituirà un problema.

L’inflazione non viene dal cielo, ma ha storicamente due strade d’ingresso. La prima è l’inflazione salariale, che certamente non vedremo in Europa e nemmeno in America, finché la disoccupazione non sarà scesa sotto il 6-6,5 per cento. La seconda è costituita dalle materie prime, in particolare dalle fonti di energia.

Il tema della shale revolution è ormai ben noto e forse è perfino abusato. Anche facendo la tara alle promesse di abbondanza che circolano e ipotizzando che il boom del gas sia più breve e contenuto di quello che ci viene raccontato, resta il fatto che i benefici in termini di prezzo saranno grandi e crescenti.

Oggi il petrolio Brent costa ancora 110 dollari. Il greggio americano ne costa però solo 90 e quello canadese addirittura 55. Lo stesso per il gas, che costa 3 dollari negli Stati Uniti e 15 nel resto del mondo. L’arbitraggio non è semplice, se pensiamo che negli stessi Stati Uniti esiste una notevole dispersione di prezzi. Chi ha il petrolio non ha le raffinerie, chi ha le raffinerie non ha i gasdotti o gli oleodotti e così via. Ci vorranno molti anni ed enormi investimenti in infrastrutture, ferrovie, navi, raffinerie, porti, riconversioni di centrali elettriche e parco automobilistico, ma alla fine l’arbitraggio riuscirà e il costo medio globale dell’energia scenderà progressivamente. Gas e greggio, a loro volta, sono sempre più correlati (attraverso l’etanolo prodotto con il mais) ai prezzi delle derrate agricole. Se scenderanno gli uni scenderanno anche gli altri.

Un altro elemento favorevole sarà la ripresa dell’edilizia negli Stati Uniti. Si favoleggia molto su questo ed è possibile che alcune proiezioni siano esagerate. Per i prossimi due anni, tuttavia, ci sono sempre meno dubbi su un recupero generalizzato del settore.

Quanto all’Europa, la benevolenza tedesca verso i Paesi in crisi e la disponibilità della Germania e della Bce alla monetizzazione del loro debito non vanno date per definitive, ma fino alle elezioni del prossimo ottobre i messaggi che arriveranno da Berlino saranno tutti rassicuranti.

Chi investe dovrà cercare di approfittare in tutti i modi di questa finestra di opportunità. Il cash andrà limitato il più possibile. Il debito di qualità alta (Bund, Canada, Australia) tornerà forse interessante nella seconda metà del decennio, ma nel 2013 sarà un peso morto nei portafogli. Al contrario, il debito della periferia europea vedrà spread sempre più stretti. L’obiettivo di uno spread a 200 non è irrealistico. Per massimizzare il ritorno si dovrà andare su Btp e Bonos di lunghissima durata. Anche il debito bancario di bassa qualità ha ancora strada da percorrere.

L’azionario, fiscal cliff permettendo, continuerà a salire almeno fino a primavera. L’Europa andrà meglio di tutti. Verrà vista (fin troppo) come un turnaround, è sottovalutata, avrà la valuta più forte. L’economia non importa, è il posizionamento che farà tutto.

Gli emergenti usciranno lentamente dalla fase opaca che hanno attraversato. Le loro valute si riprenderanno moderatamente e lo stesso faranno le loro borse. Niente di trionfale, in ogni caso.

L’America vedrà grandi rotazioni azionarie. L’astro nascente è la chimica, grande beneficiaria dell’energia abbondante e a basso costo. Interessante l’edilizia, dopo la correzione di queste settimane, e tutto ciò che ruota intorno alla casa. Buone, nella tecnologia, soprattutto le aree che non soffrono della concorrenza. Buoni, nel petrolio e nel gas, solo i titoli di società che operano nei nuovi El Dorado di Bakken, Marcellus ed Eagle Ford.

Sintesi di un’analisi più articolata che si può leggere qui

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