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La bolla degli Emergenti

Tutti i soldi che vanno a finire a cascata nei mercati emergenti rischiano di creare una bolla destinata prima o poi a scoppiare. L’analisi di Jasse Colombo su Business Insider traccia la genesi di questa bolla. Nell’ultimo decennio lo stupore per la crescita di Cina e India ha incoraggiato la ricerca del prossimo Paese destinato a seguire le orme dei due giganti asiatici o degli altri mattoni del cosiddetto Bric, ossia Russia e Brasile, secondo il fortunato acronimo coniato un decennio fa da Jim O’Neil di Goldman Sach per indicare le potenze economiche emergenti.

Una tendenza che è andata aumentando con la necessità di trovare nuovi mercati dove investire in alternativa all’Europa e agli Stati Uniti alle prese con la crisi e con un rallentamento della crescita.

Ognuno dei Bric aveva una sua funzione. La Cina era il motore basato sul manifatturiero. L’India il polo tecnologico e dei servizi. Brasile e Russia cui poi si sarebbero aggiunti Sudafrica e Indonesia i Paesi ricchi di materie prime a loro volta sfociate in una sorta di bolla.

Ma come è nata la bolla dei mercati emergenti? Colombo spiega che mentre questi ultimi subivano lievi rallentamenti nella fase più grave della crisi tra il 2008 e il 2009, le politiche monetarie di stimolo delle banche centrali mondiali le fecero riprendere velocemente.

A questo si unì il pacchetto di stimolo cinese da 586 miliardi di dollari per infrastrutture e grandi progetti che assieme fecero lievitare il prezzo delle commodity. Una fortuna per i mercati emergenti ricchi di materie prime. La bolla ha iniziato a gonfiarsi tra il 2009 e il 2010 quanto il flusso di capitali nelle economie emergenti ha raggiunto gli 825 miliardi di dollari, oltre il picco del 2006-2007. Uno “tsunami di liquidità” per usare le parole della presidentessa brasiliana Dilma Rousseff che avrebbe potuto generare inflazione.

Altri timori arrivarono con il cosiddetto QE2 statunitense, ossia la decisione di stampare altri 600 miliardi di dollari per buttarli nei T Bond, il mercato obbligazionario del Tesoro, che provocò un altro aumento delle commodity. Nell’estate del 2011 era l’Economist a mettere in guarda da un eccessivo surriscaldamento mentre le banche dei Brics iniziavano a dare i primi segnali di crisi.

Ora le economie stanno tirando un po’ il fiato, ma i loro bond e a esempio il mercato immobiliare continuano a tirare e attrarre investimenti. Le politiche monetarie allo studio delle banche centrali per dare una spinta alla crescita potrebbero far salire nuovamente la temperatura, conclude Colombo.

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