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Redditometro alla ricerca di un (difficile) equilibrio

“Il redditometro deve avere l’obiettivo di intercettare le forme di evasione ‘spudorata’. E’ tuttavia necessario che nell’applicazione del redditometro debba esserci un giusto equilibrio tra accertamento dei maggiori imponibili e garanzie per il contribuente”. Maurizio Leo, Presidente Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe tributaria, parla del nuovo redditometro e del suo ruolo nell’ambito delle strategie dell’Amministrazione finanziaria per combattere l’evasione fiscale.

L’applicazione del nuovo redditometro non può vedersi scollegata dal Redditest, ossia dal programma di autodiagnosi messo a disposizione dall’agenzia delle entrate che consente a tutti i contribuenti di visionare i criteri di selezione adoperati dall’Amministrazione, per le verifiche fatte con il redditometro. L’obiettivo è evidente: spingere il contribuente alla fedeltà fiscale. Ritiene che questo tipo di approccio, considerando la platea dei 41 milioni di soggetti IRPEF, sia efficace ed efficiente?

“L’obiettivo principale del Redditest è quello di favorire la c.d. tax compliance tra Fisco e contribuenti, cioè fare in modo che il contribuente stesso, quando nota uno scostamento tra reddito dichiarato e ammontare delle spese, valuti, autonomamente, la possibilità di ‘adeguarsi’. Peraltro, il risultato del Redditest non ha alcun effetto sull’applicazione del redditometro. In quest’ottica i due strumenti possono senz’altro convivere perché hanno effetti su piani diversi”.

Le possibilità di difesa del contribuente rispetto ad una eventuale non congruità del reddito complessivo dichiarato sono quelle del precedente accertamento sintetico: nella sostanza si può mettere in evidenza che, oltre al reddito prodotto nell’anno, la provvista dei soldi necessari per fare la spesa è avvenuta per redditi esclusi da imposizione per qualsiasi motivo, prestiti in denaro ovvero risparmi. Il decreto aggiunge anche la possibilità di dimostrare il diverso ammontare delle spese sostenute. Ritiene che questa ulteriore facoltà di difesa possa spingere tutti i contribuenti IRPEF a conservare gli scontrini delle spese sostenute?

“La maggior parte delle voci di spesa per consumi è valorizzata direttamente in base all’ammontare risultante dai dati disponibili in Anagrafe tributaria, dunque il dato è già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria”.

“Ciò nonostante, in contraddittorio, il contribuente può dimostrare che le spese sostenute: sono state finanziate attraverso redditi esclusi, esenti o comunque non rientranti nei redditi tassabili nel periodo; sono di ammontare diverso da quelle risultanti dai dati dell’Amministrazione; sono, di fatto, relative a beni nella disponibilità di terzi e che, dunque, sono questi a sostenere i costi di mantenimento e gestione.

Gli scontrini e la documentazione, allora, potrebbero ritenersi non rilevanti come strumento di prova contraria al fine di dimostrare, con certezza, l’ammontare della spesa, il soggetto che ha effettuato l’acquisto, chi ne sostiene i costi. In quest’ottica, sono utili i mezzi di pagamento elettronico attraverso i quali si può risalire alle movimentazioni e al titolare del conto corrente. È evidente, allora, che conservare la documentazione d’acquisto riguarda le spese di una certa entità, fatta eccezione per quelle di ammontare superiore a 3.600 euro già tracciate, cioè che possono incidere significativamente sull’eventuale determinazione sintetica del reddito, mentre non credo che lo stesso discorso riguardi gli scontrini della spesa e dei consumi quotidiani”.

A prescindere dalle prove che il contribuente può portare a sua discolpa, secondo la Sua esperienza, in concreto il contribuente potrà avere una relativa certezza che nelle ipotesi di errore dello strumento il contraddittorio previsto dalla norma possa dargli giustizia?

“Il redditometro non genera accertamenti automatici, ma è uno strumento che innesca l’accertamento sintetico, che è per sua natura una metodologia di accertamento presuntivo. Per questo motivo la fase di accertamento vera e propria viene fatta precedere da un contraddittorio tra Amministrazione e contribuente, nella quale le parti potranno mettere a fuoco l’effettiva pretesa erariale”.

In estrema sintesi la combinazione Redditest e redditometro risulterà una strategia efficace per combattere l’evasione fiscale?

“Il Redditest ha il solo scopo di favorire la compliance tra Amministrazione e contribuenti, ma non ha alcuna valenza ai fini dell’accertamento. Il redditometro, invece, è uno degli strumenti per combattere un certo tipo di evasione, cioè quella c.d. “di massa”. Non è possibile certo pensare che sia la panacea per recuperare tutta l’evasione fiscale. Come si è più volte detto, il redditometro deve avere l’obiettivo di intercettare le forme di evasione ‘spudorata’. Ritengo tuttavia necessario che nell’applicazione del redditometro debba esserci un giusto equilibrio tra accertamento dei maggiori imponibili e garanzie per il contribuente”.

Sintesi di un’intervista più ampia che si può leggere su Ipsoa.

 

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