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Zara o il lato B della moda low cost

Una folla di ragazzine attende in fibrillazione alle porte del negozio Zara. All’alba, d’inverno. Vogliono essere le prime ad entrare perché in questo modo aumentano in maniera direttamente proporzionale le possibilità di comprare a prezzo stracciato uno dei capi più ambiti. Magari quello indossato dalle principesse Kate Middleton o Letizia Ortiz. Alla peggio quello che vestono le attrici americane Olivia Palermo o Eva Longoria. La frenetica scena davanti a Zara può accadere a Londra, Azerbaijan, Buenos Aires o Dubai. O in tutte queste città – e tante altre – allo stesso tempo.

La famosa linea di abbigliamento, che fa parte dell’emporio spagnolo Indetex, è presente in 87 Paesi con 1721 negozi. Ogni anno vengono prodotti 900 milioni di vestiti. Il fatturato del 2012 è stato di circa 15.200 milioni di euro, circa 10% in più rispetto al 2011. Quasi il 5% di questa cifra, ovvero 760 milioni di euro, sono stati guadagnati con le vendite attraverso gli acquisti on line, il che ha fatto risparmiare le tasse e altri costi all’impresa. L’obiettivo è fare arrivare i ricavi elettronici a circa mille milioni di euro.

Ma qual è la ricetta della prosperità di questa azienda iberica in mezzo alla crisi economica? Il segreto, anche un po’ oscuro, è rinchiuso nella figura di Amancio Ortega Gaona, presidente e fondatore di Inditex, il settimo uomo più ricco al mondo secondo la lista di “Forbes” con un patrimonio di circa 44mila milioni di euro.

In una biografia (non autorizzata) di Ortega Gaona, il giornalista David Martínez, capo servizio dell’economia del quotidiano spagnolo La Vanguardia, racconta cosa c’è dietro all’emporio di Zara. Le ricerche per scrivere “Zara, visione e strategia di Amancio Ortega”(Editoriale Conecta) sono state difficili a causa dell’ermetismo dell’imprenditore e del suo entourage. E delle verità (scomode) che sono venute fuori.

Il gruppo Inditex ha più di 92mila impiegati in tutto il mondo. Circa il 55% è fuori dalla Spagna, l’età media è di 26 anni e l’80,4% sono donne. Il successo di Ortega Gaona è risaputo e elogiato, nonostante l’impegno di quasi nascondere che Inditex è un’azienda spagnola (“perché vogliamo conquistare il mondo”, recita la presentazione ufficiale del sito internet). Ma poco si sa delle peggiori storie che circolano sull’emporio.

Inditex è l’azienda dietro ai famosi marchi low cost Zara, Mango e Berska, tra altri. La filosofia di questo gruppo, che produce il 50% dei prodotti in Spagna e il resto in Asia, Africa e alcuni Paesi latinoamericani, è proporre un rapporto prezzo/qualità assai vantaggioso. Una produzione a basso costo e in tempi rapidi. E com’è possibile?

Alcuni “strumenti”, sostiene il libro, sarebbero lo sfruttamento del lavoro infantile, l’abuso della mano d’opera a basso costo nei Paesi in via di sviluppo, l’uso di materiali tossici per la fabbricazione dei vestiti. Sono informazioni sempre smentite da Inditex, ma che hanno trovato conferma nella realtà.

È ancora fresca la denuncia del programma di inchiesta giornalistica “Repórter Brasil” della catena Band (una specie di “Le Iene” brasiliano, anche per il formato televisivo) che nel 2011 ha scoperto una fabbrica a San Paolo dove le giornate lavorative duravano fino a 16 ore, in condizioni igieniche umilianti e con sistemi di sicurezza non efficienti, per sostenere ritmi di produzione estenuanti. La denuncia di “Repórter Brasil” è nata nell’ambito di un’inchiesta sull’origine del patrimonio dello spagnolo Amancio Ortega.

Nel reportage, i due giornalisti hanno messo a nudo il cuore dell’azienda, che in questo caso subappalta il lavoro attraverso un’altra azienda, AHA. Assieme ad un rappresentante del Ministero del Lavoro brasiliano, sono andati in 33 fabbriche di AHA. Nel video del programma, si vedono i documenti del contratto di subappalto tra AHA e Zara-Inditex. Per tre mesi questi lavoratori hanno fabbricato circa 50 mila abbigliamenti. La paga per ognuno è stata di 80 centesimi di euro. In alcuni casi, nell’elaborazione erano coinvolte anche sette persone e il compenso veniva ridotto a 11 centesimi. Vestiti e pantaloni a cui vengono cucite le etichette “Zara basic”, gli stessi abiti che fanno impazzire Kate Middleton ed Eva Longoria, oltre a milioni di quindicenne in tutto il mondo.

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