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Il prodigio dell’irruzione dell’umano nella sfera divina

L’umano ha fatto irruzione nel divino. Un evento mitico. Esiodeo o omerico. Mirabile, comunque. La fragilità dell’uomo al cospetto del Dio che lo ha creato. Come un lampo pagano nel cuore della cristianità. A riprova, dopo i millenni sbriciolatisi, che l’essere provvisorio può presentarsi all’Essere eterno con la sua miseria che nel momento in cui l’ammette e la rivendica si ammanta di regalità.
Così il chierico Joseph Ratzinger si è proposto davanti allo Spirito Santo non per sfidarlo, ma per testimoniare un amore infinito avendo da Lui ricevuto il mandato di reggere e governare la Chiesa universale come Sommo Pontefice che s’impose il nuovo nome di Benedetto per marcare, come tutti i suoi duecentosessantaquattro predecessori, il distacco dalla Terra pur restando sulla Terra a guidare il gregge del Padre.

Le vie della Provvidenza sono imperscrutabili, come ci hanno raccontato da duemila anni in qua ed anche prima dei cosiddetti tempi storici. E, per quanto nulla sia precluso su quelle vie, nessuno aveva immaginato che un uomo, di rango spirituale elevatissimo, potesse rimettere ciò che Dio gli aveva affidato per amministrarlo in suo nome. Infallibile, come tutti i Pontefici, giusto quanto ci ricordava Joseph De Maistre nel suo scintillante Du Pape, mentre furoreggiavano gli effetti della più grande rivolta contro lo Spirito ed il diritto naturale, il regnante Vicario di Cristo ha deciso di tornare ad essere un umile uomo di Chiesa, lavoratore nella vigna del Signore, non per superbia, ma per consapevole affievolimento delle sue forze. Non c’è forse un’immensa grandezza in questa decisione che implica il rifugio nel silenzio e nella preghiera, presupposti per sfiorare la mano di Dio ancor prima che la materialità del corpo si dissolva nella purezza dello spirito?

I gesti sono sacri più delle parole, a meno che queste non diventino carne. Et Verbum caro factum est. I gesti e le parole di Benedetto sono stati, e nella luce della solitudine ancor più lo saranno, trasfigurazioni di umani limiti in prossimità alla religiosità tangibile, ciò di cui l’umanità, soggiogata dall’assolutismo relativista e dal prometeismo tecnologico, ha un disperato bisogno per continuare a vivere. Il segno che il Papa lascia non è, dunque, l’estremo grido di un disperato eremita agonizzante, ma il vitale esempio di un Padre nel deserto della modernità dove la sua missione, lungi dall’essere terminata, germina con la presenza della preghiera e l’assenza del corpo, celato agli occhi del mondo, un monito per una nuova evangelizzazione.

Adesso è chiaro: era questa la missione del tedesco Joseph Ratzinger, arrivato al Soglio di Pietro, dalla terra di Lutero. Penso, perciò, che non poteva concludersi che con un “nuovo inizio”, quello appunto di lanciare oltre gli ostacoli delle ritualità e dei formalismi, la sostanza del Cristo incarnato, non più Pontefice, dunque, ma rifondatore della Chiesa universale, un ministero che forse necessita del distacco per essere portato a compimento: il chierico Ratzinger non sarà che l’esempio vivente, speriamo per lungo tempo, della ritrovata e rinnovata speranza della ricomposizione delle fratture che stanno annichilendo l’umanità.

È probabile che la sua fragilità, con semplicità e coraggio confessata, altro non sia che il sigillo dello Spirito Santo sulla sua dignità pontificale non più bastevole nelle presenti circostanze. Il soffio che otto anni fa spinse i cardinali elettori nella Cappella Sistina a guardare al confratello Ratzinger come successore di Pietro, adesso soffia molto più forte nel far riconoscere all’umanità dei credenti e dei non credenti come possa un uomo prescelto ad incarnare la volontà di Dio con il suo magistero diventare il silenzioso testimone della Trascendenza che parla attraverso questo suo ultimo simbolo riconoscibile.

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