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Il mercato delle armi non è una vendita su eBay

“L’AgustaWestland e la sua dirigenza sembrano essere consueti al pagamento di tangenti e vi è motivo di credere che tale filosofia aziendale si ripeta anche in futuro se non resa vana attraverso l’intervento cautelare. Stesse considerazioni possono e debbono farsi per Giuseppe Orsi, a capo di una holding comprensiva di aziende operanti in svariati settori”. E’ l’ordinanza del gip di Busto Arsizio che ha fatto arrestare il numero uno di Finmeccanica.

Le due ipotesi

Non siamo cronisti giudiziari né dubitiamo delle ragioni dei magistrati. Sarebbe però interessante capire se i beneficiari della filosofia tangentizia sono stranieri – l’inchiesta riguarda la vendita di 12 elicotteri all’India – oppure italiani, o tutti e due. Nel primo caso la corruzione, se dimostrata, è condannabile, ma è noto che il mercato delle armi non è una vendita su eBay: dovrebbe preoccuparsi soprattutto il governo indiano.

Il precedente Church

C’è un precedente che ha fatto storia: negli anni Settanta la commissione Church del Senato americano accertò che la Lockheed e altre venti multinazionali (tra le quali Ibm, Exxon e General Motors) corrompevano alti papaveri in almeno 15 Paesi stranieri, compresi ministri e capi di stato di Italia, Giappone, Germania e Olanda. Le ricadute furono però tutte all’estero: si dimise il primo ministro giapponese, vennero accusati il principe Bernardo d’Olanda e la Cdu tedesca.

Il caso Cobbler

In Italia si scatenò la caccia al fantomatico Antelope Cobbler, e alla fine si arrivò all’impeachment del presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Che poi risultò estraneo ai fatti. Invece le industrie Usa se la cavarono, e bene. La Gm è la prima delle tre big dell’auto. La Exxon è il secondo colosso petrolifero dopo la Shell. E la Lockheed è saldamente il maggior fornitore militare del governo Usa e dei suoi alleati.

L’esperienza americana

In altri termini il Congresso, pur nel clima rovente dello scandalo Watergate, raccomandò di salvaguardare gli interessi industriali degli Stati Uniti. Si può dire che in Italia stia accadendo la stessa cosa?

Le inchieste devastanti

Le inchieste sulla Finmeccanica, con il solito risiko tra procure, durano dal 2010. A gennaio sono state archiviate le accuse contro l’ex capo-azienda Francesco Guarguaglini: senza clamore. Nel frattempo è scoppiato lo scandalo Eni: anche qui ipotesi di tangenti pagate in Algeria dalla Saipem; ma la procura indaga l’intero vertice della holding, Paolo Scaroni in testa. Eni e Finmeccanica sono, con Enel, le punte di diamante di quel che resta della nostra industria pubblica. L’Eni è la prima azienda del paese e la più presente nei portafogli italiani e internazionali. Ed è ovviamente strategica per gli approvvigionamenti energetici. Intanto sul fronte privato prosegue la guerra dell’Ilva di Taranto. La più grande acciaieria d’Europa resta sotto sequestro; governo, politici e sindacati non sanno come uscirne per salvare, mettendola in regola con gli standard ambientali, una delle poche presenze nell’industria pesante e 30 mila posti di lavoro.

L’epicentro è nella Puglia di Nichi Vendola, e né il tandem Sel-Pd né la Cgil hanno stabilito la priorità: l’industria, il lavoro o la magistratura? Un disastro infinitamente peggiore, quello provocato dal terremoto a Fukushima, con le responsabilità della Tepco quantificate in 130 miliardi di dollari, non ha indotto né l’ex governo socialdemocratico, né quello nuovo conservatore, né l’opinione pubblica ad abbandonare il nucleare sobbarcandosi i costi della dipendenza energetica: lo smantellamento degli impianti avviene sotto il controllo pubblico. Eppure il Giappone non ha certo la politica più trasparente del mondo. Torniamo all’Italia. La Cgil che sull’Ilva ha le idee confuse, le ha invece chiarissime sulla Fiat. Contro gli accordi di Pomigliano la Fiom è ricorsa fino alla Corte costituzionale, facendo riassumere 19 delegati che l’azienda paga senza farli lavorare (tranne uno candidato con Sel). Ed il sindacato di Susanna Camusso ha eletto Sergio Marchionne nemico del popolo per non essersi piegato alla concertazione. Quanto reggerà la Fiat? Questa è la foto della grande industria italiana, per la quale si chiede affannosamente ai capitali stranieri di tornare. Forse lo faranno: per mangiarsela in un boccone.

www.iltempo.it

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