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Effetti e rischi del “sequester”

La scadenza è fissata per domani: senza un accordo sulla riduzione del deficit americano, cosa che al momento appare se non altro improbabile, scatteranno tagli automatici e trasversali della spesa pubblica americana per 85 miliardi di dollari quest’anno e fino a 1.200 in dieci anni.

Casa Bianca e Repubblicani al Congresso non sembrano però avere fretta di trovare un compromesso ancora lontanissimo, mentre appaiono impegnati a fare ricadere sugli avversari la colpa di una situazione che potrebbe avere conseguenze drammatiche per gli Stati Uniti.

A differenza di quanto è successo un mese fa con l’accordo sulla sospensione del tetto del debito fino al 19 maggio per evitare il default del Paese, questa volta le parti non sembrano avere fretta, anche se tutti concordano che con il cosiddetto “sequester” andrebbero perse migliaia di posti di lavoro e l’economia americana ne risentirebbe (la Federal Reserve e il Congressional Budget Office hanno quantificato in uno 0,6% l’impatto negativo sulla crescita del prodotto interno lordo). Il motivo del minore senso di urgenza è che gli effetti dei tagli non si vedranno immediatamente, ma non per questo saranno inferiori.

Il presidente Barack Obama ha indetto per domani, il giorno stesso in cui scade il tempo a disposizione per la trattativa e scattano i tagli, un primo faccia a faccia con i leader del Congresso, ma nessuno si aspetta che i cinque partecipanti (Obama, il presidente della Camera John Boehner e i leader di maggioranza e minoranza a Camera e Senato) arrivino a un accordo dell’ultimo minuto. Secondo i Repubblicani, che pure parteciperanno, la richiesta di incontro è pure teatro, un’occasione per il presidente di fare quello che il pubblico si aspetta che faccia.

Nel frattempo prosegue lo scambio di accuse reciproche. “Possiamo fare in modo che le riduzioni della spesa siano portate avanti in modo intelligente oppure possiamo lasciare che scattino i tagli voluti da Obama”, ha detto il capo dei repubblicani al Senato Mitch McConnell, facendo riferimento al fatto che il “sequester” è stato introdotto proprio dal presidente nell’accordo dell’agosto 2011 sull’innalzamento del tetto del debito per forzare la mano ai repubblicani sulla necessità di un piano per la riduzione del disavanzo dello Stato.

La Casa Bianca, invece, cerca di dimostrare che è l’intransigenza dei repubblicani a creare una crisi che rischia di mettere a repentaglio una ripresa ancora fragile. “Speriamo che i leader Repubblicani comincino a rispondere alla volontà degli americani”, ha detto ieri il portavoce del presidente Jay Carney, forte del fatto che Obama ha alcuni punti di vantaggio: l’approvazione nei suoi confronti è più alta di quella verso il Congresso, ha ottenuto la rielezione proprio facendo campagna elettorale su un piano per ridurre il deficit non basato solamente su tagli della spesa e, come presidente, le sue parole hanno una risonanza che quelle dei Repubblicani non hanno.

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