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Analizziamo senza pregiudizi le proposte fiscali di Grillo e Casaleggio

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Si può rimanere in un’area monetaria unica se, dopo oltre dieci anni dalla nascita dell’euro, la p.a. italiana continua a pagare a un anno dalla scadenza le sue fatture, se i crediti Iva sono rimborsati dopo quattro o cinque anni e se, nel 2013, si varano redditometri con effetti retroattivi al 2009 senza predisporre alcuna comunicazione preventiva verso i cittadini? Domande semplici alle quali la classe politica e l’alta dirigenza pubblica italiana, tra le meglio retribuite del mondo occidentale, avrebbero dovuto dare risposte già da tempo. Invece si è preferito lasciar marcire la situazione in un’atipicità italiana che ha, inevitabilmente, portato allo sfondamento grillino, perché gli italiani vogliono stare nell’euro ma ora pretendono di avere servizi e condizioni da europei: avere la stessa qualità che un contribuente trova a Stoccarda, Rotterdam o Salisburgo quando entra in contatto con lo Stato. L’incapacità di riformare la macchina pubblica, nonostante il decennio dell’euro, è il vero default sistemico italiano.

Confesso di avere conosciuto le proposte di Beppe Grillo in piena campagna elettorale una sera su Sky. Lo Tsunami tour faceva tappa credo a Bologna e mi sono messo ad ascoltare il leader di quello che sarebbe diventato il maggior partito italiano di lì a poco. Sento le sue proposte sul fisco e salto sulla sedia (lo twitto anche per ribadire subito quanto erano vicine ad alcune mie analisi, ndr). Il capo del M5S stava leggendo dal suo iPad delle riforme che in buona parte sono quanto vado scrivendo da anni su questo quotidiano. Sciorinava Grillo alla sua piazza: 1) abolire l’Irap. L’unica imposta ideologica presente al mondo, varata dai Viscoboys e valida in un’economia manifatturiera non per il post terziario e per un Paese, come l’Italia, con ridotta capacità di produrre beni intangibili. Un’imposta che produce disoccupazione e fa fuggire gli investitori; 2) fondere Equitalia nell’Agenzia delle entrate. Altra anomalia italica una Spa del Ministero dell’economia con 8.500 dipendenti, che in molti casi trascinano stipendi ex bancari non da p.a., che poteva aver senso solo per una fase transitoria, mentre oggi costringe il contribuente a convivere con due organizzazioni, due sistemi informativi, due culture gestionali; 3) inviare a casa del contribuente la dichiarazione annua. E quello che fanno in Francia da anni e che è realtà fiscale nei Paesi moderni, invece di appaltare ai Caaf sindacali l’obolo della dichiarazione pagato dal bilancio pubblico. Per di più, con 2 mila informatici impiegati dalla Sogei e almeno altri mille comprati dal mercato questa riforma poteva, organizzativamente, essere fatta da tempo.

Grillo proponeva un fisco da eurozona: semplice, senza duplicazioni e sprechi, rispettoso del contribuente. Un mondo molto lontano da quello della Prima e della Seconda repubblica, nel quale il cittadino ha soltanto pagato per essere trattato meno di un numero, meno del suo codice fiscale.

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