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Spie vecchio stile tra Washington e Pechino

In tempi di accuse incrociate di intrusioni e attacchi informatici, l’ultimo presunto caso di spionaggio tra Stati Uniti e Cina in ordine di tempo è invece legato al fattore umano. Certo memorie esterne e pc sono stati gli oggetti cui l’Fbi si è interessata durante l’interrogatorio di Bo Jiang, scienziato cinese al Langley Research Center della Nasa, fermato all’aeroporto Dulles a Washington mentre era in procinto di imbarcarsi su un volo di sola andata per Pechino.

Secondo quanto riferito dal Washington Examiner il ricercatore cinese sarebbe sotto inchiesta per violazione della legge sul controllo dell’esportazione di armi. Inoltre, riferiscono i resoconti di stampa, fermato dagli agenti non avrebbe consegnato loro tutti i dispositivi elettronici in suo possesso.

Più diretto è stato il deputato repubblicano Frank Wolf, presidente del comitato della Camera che vigila sull’agenzia spaziale, convinto che il ricercatore sia una spia al soldo di Pechino. Wolf fa riferimento a un viaggio in Cina del 2012 durante il quale Bo Jiang avrebbe portato con sé informazioni sensibili. Il deputato ha inoltre esortato a indagare cosa contengano gli hard disk del ricercatore, ipotizzando possano esserci dentro codici sorgente per tecnologie che potrebbero avere “significative applicazioni” per l’Esercito popolare di liberazione. Venuto a conoscenza delle presunte attività di Bo Jiang, ora in attesa dell’udienza per la convalida dell’arresto, Wolf ha pertanto allertato i federali. Lunedì invece è stato il turno del tenente colonnello Benjiamin Bishop, di presenziare alla prima udienza del processo che lo vede imputato con l’accusa di aver condiviso informazioni in suo possesso con la ragazza 27enne di origine cinese.

Secondo quanto riporta il Washington Post avrebbe inviato alla ragazza email con informazioni sui piani militari e le relazioni internazionali degli Usa. A settembre avrebbe invece diffuso notizie sul sistema nucleare statunitense e sulla capacità di intercettare missili a corto e medio raggio.

L’ultimo arresto di presunte spie cinesi in territorio statunitense risale al 2006. Gli ultimi casi hanno preceduto la visita al Pechino del nuovo segretario al Tesoro Jacob Lew che ha avuto un colloquio il leader cinese Xi Jinping alla suo primo incontro internazionale da presidente della Repubblica popolare. Nell’agenda dell’incontro ha trovato spazio il tema delle intrusioni informatiche. La scorsa settimana lo stesso presidente Usa Barack Obama aveva pubblicamente accusato Pechino di sostenere alcune delle intrusioni e degli attacchi contro società, quotidiani e agenzie governative statunitensi. Accuse che Pechino ha sempre respinto ribattendo di essere a sua volta bersaglio dei pirati informatici, così come ribatte alle voci che accusano i colossi delle telecomunicazioni cinesi Huawei e Zte di essere troppo vicine ad ambienti militari della Rpc.

L’ultima presa di posizione contro i due giganti delle tlc è arrivata nel corso della conferenza Balck Hat Europe, tenuta ad Amsterdam. Due ricercatori russi hanno evidenziato come chiavette peri navigare in internet con le connessioni 3G e 4G sarebbero vulnerabili agli attacchi degli hacker. Aggiungendo inoltre che la stragrande maggioranza dei modem nel mondo sono prodotti proprio da Huawei e Zte. Nikita Tarakanov e Oleg Kupreev hanno analizzato il software presente nelle chiavette, trovando diverse caratteristiche sfruttabili da eventuali malintenzionati.

Certo è, come sottolineato anche dal New York Times, nell’articolo in cui svelava di essere stato per mesi bersaglio di attacchi, pare riconducibili ai cinesi, le intrusioni e gli attacchi non sono una prerogativa di Pechino,ma una strategia in cui anche Israele, Iran, Russia e gli stessi Stati Uniti eccellono.

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