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I travagli di Travaglio su Grasso

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, si conferma un “pubblico mentitore”. Parola di Marco Travaglio, vice direttore del Fatto Quotidiano che, in attesa della nuova puntata di Servizio Pubblico in onda questa sera, ha anticipato ieri sul suo giornale tutte le “balle” (secondo la versione del giornalista) raccontate dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia durante la trasmissione Piazzapulita.

Il monologo di Grasso

Il neo presidente del Senato ha approfittato dell’invito alla trasmissione di Corrado Formigli per rispondere alle “accuse infamanti” che lo stesso Travaglio gli aveva rivolto nel corso della puntata di giovedì 22 marzo di Servizio Pubblico. Si è trattato però di un monologo, dal momento che Marco Travaglio ha rifiutato il confronto per una serie di scorrettezze commesse dal conduttore di Piazzapulita. E’ stato questo il giudizio del Fatto.

La replica di Travaglio

In un editoriale apparso sul Fatto Quotidiano del 27 marzo, Marco Travaglio ha raccolto tutte le “bugie” raccontate da Grasso in trasmissione, affermando che l’ex Procuratore “si conferma purtroppo un pubblico mentitore e approfitta del fatto che i suoi colleghi della Procura di Palermo non possono andare in tv a sbugiardarlo. Se però mi vorrà querelare, sono in molti che verrebbero volentieri a testimoniare sotto giuramento come sono andate le cose e dove sta la verità”.

I rapporti con Andreotti, il caso Giuffrè e Ciancimino

Secondo Travaglio, è falso che Grasso non ha firmato né vistato l’atto di appello della sua Procura contro l’assoluzione di Andreotti in primo grado “per motivi squisitamente tecnici”. Avrebbe potuto dirlo all’epoca, quando invece si rifiutò non solo di sottoscrivere il plico dell’impugnazione consegnatogli da Scarpinato e Lo Forte ma anche apporre il ‘visto’ rituale, dicendo che non l’ha letto e non c’entra. “Un gesto di plateale presa di distanze”.

Sul caso Giuffrè, prosegue il giornalista di Servizio Pubblico, Grasso avrebbe potuto sfruttare meglio il tempo per interrogare, nel 2002, il pentito Antonino Giuffré, decidendo di farlo solo “i sabati e le domeniche”, perdendo così occasione dal momento che la legge sui pentiti dava ai pm “solo 6 mesi di tempo per cavargli di bocca tutto quel che sapeva. Nei primi tre mesi – scrive Travaglio -, Grasso interrogò Giuffrè quasi soltanto su certe estorsioni nelle Madonie, che porteranno all’arresto di una dozzina di pastori”. Quando invece ad interrogare il pentito furono i pm Scarpinato, Lari, Russo, Paci, Piscitello, Guido e Tarondo si raggiunsero ben altri risultati. “Lì Giuffrè rivelò che Aiello era un prestanome di Provenzano. Così Grasso e i suoi, due anni dopo, fecero arrestare lui e i marescialli-talpa”.

Anche sul caso Ciancimino, secondo Travaglio non si capisce perché Grasso abbia trascurato fatti molto gravi. Quando infatti lascia Palermo, nel 2005, “dai cassetti della Procura saltano fuori un sacco di documenti dimenticati o trascurati sui rapporti mafia-politica”, che Grasso aveva di fatto ignorato.

Le querele minacciate e il confronto mancato

Pietro Grasso ribadisce di non aver “mai minacciato querele a Travaglio”, che però lo smentisce scrivendo che “il 10.1.2006 Grasso definì il libro ‘Intoccabili. Perché la mafia è al potere’ scritto da Lodato e da me “opera di disinformazione scientificamente organizzata” e aggiunse: “Non mancheranno le ‘sedi giudiziarie ed istituzionali in cui far trionfare la verità’”. Che però poi non ha portato avanti.

Sul confronto invece, Travaglio accusa la seconda carica dello Stato di scappare da circa 10 anni. “Grasso lamenta, sull’orlo delle lacrime, l’impossibilità di ottenere un confronto col sottoscritto. Se ciò fosse vero, accetterebbe il mio invito a dibattere con me a Servizio Pubblico, Otto e mezzo, al Tg di Mentana, o da Lerner”. 

Il caso Schifani, le leggi anti-Caselli e i processi di successo

Anche sui due argomenti delicati come le indagini legate all’ex presidente del Senato, Renato Schifani e le leggi che hanno danneggiato il suo concorrente Gian Carlo Caselli nel concorso alla Dna, Grasso ha mentito (è la sentenza giornalistica di Travaglio e del Fatto). Sul primo caso, infatti, “archiviato ai tempi di Grasso, Schifani è stato di nuovo indagato dopo la sua dipartita. E, contrariamente a quel che lui afferma, non è stato archiviato: la richiesta è ancora all’esame del gup Piergiorgio Morosini”.

Sul secondo, “un cultore della Costituzione come Grasso dovrebbe sapere che l’art. 105 affida le nomine dei magistrati al Csm senza interferenze del governo”. Ma Grasso “avrebbe dovuto rifiutare quel concorso truccato a suo favore. Invece ne approfittò senza batter ciglio, salvo poi – quando la Consulta dichiarò incostituzionale l’ultima norma – riconoscere che sì ‘era stata contro Caselli e a favore mio’, ma conservando la poltrona. Ottenuta, sì ‘ottenuta’ in quel modo scandaloso”.

Un’altra contraddizione del neo presidente del Senato, fa presente Travaglio, è quella legata al fatto che “se un pm si chiama Ingroia o Caselli o Gozzo e si vede condannare un imputato, tipo Dell’Utri, per Grasso ‘non deve viverlo come un successo’. Anzi, come una sconfitta, perché il processo ‘è durato troppo’. Se invece l’imputato si chiama Cuffaro e viene condannato e il pm si chiama Grasso, allora è un trionfo: la prova che il suo “metodo” è quello giusto, mentre quello degli altri era sbagliato”.

Il premio antimafia a Berlusconi e il plauso di Dell’Utri

Non giovano poi all’ex Procuratore Nazionale Antimafia l’aver dichiarato, alla trasmissione radiofonica La Zanzara, che Silvio Berlusconi meriterebbe “un premio speciale” antimafia. Secondo Grasso fu un equivoco, colpa di “quei birbanti de La Zanzara”. Avrebbe fatto meglio invece, spiega Travaglio, se si fosse limitato a dichiarare “no, nessun premio a chi dice che Mangano è un eroe e che i magistrati sono matti, antropologicamente diversi dalla razza umana, golpisti, cancro della democrazia”.

In più, conclude il vice direttore del Fatto, il discorso di insediamento al Senato, ha ricevuto l’applauso di Silvio Berlusconi e ogni intervista di Grasso viene ripetutamente elogiata da Marcello Dell’Utri. Insomma, già questo secondo Travaglio potrebbe bastare a offuscare l’immagine della seconda carica dello Stato.

Per il resto, promette Travaglio, ci vediamo a Servizio Pubblico.

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