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L’errore a 5 stelle di Bersani

Le armate del Pd, il partito che ha vinto le elezioni grazie a una percentuale di voti corrispondente a un prefisso telefonico di una città di media grandezza, “risalgono in disordine e senza speranze le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.

E Pier Luigi Bersani da stasera è un presidente pre-incaricato, congelato nel freezer al pari di uno stoccafisso, acquistato al mercato per il pranzo di Pasqua.

Il filo rosso delle consultazioni è adesso nelle mani di Napolitano che, evidentemente, vuole verificare con le sue orecchie il percorso parlamentare confusamente descritto da Bersani, allo scopo di capire se il “governo del cambiamento” da lui proposto con un’arroganza degna di miglior causa, riuscirebbe a “smacchiare il giaguaro” o finirebbe soltanto per “pettinare le bambole”.

Il segretario del Pd ha perso intere giornate in consultazioni inutili (è mancato poco perché non convocasse anche il presidente della bocciofila di Bettola) con l’unico scopo di dar modo a Vasco Errani di andare a caccia – in nome della trasparenza! – di qualche franco tiratore nel gruppo del M5S a Palazzo Madama.

Ha condotto un negoziato con le altre forze politiche all’insegna della “sindrome di Tecoppa” quella marionetta – vero e proprio miles gloriosus – che pretende l’assoluta immobilità del suo avversario per poterlo infilzare senza fatica.

Pier Luigi Bersani ha trattato il Pdl come una masnada di impestati, pretendendo nel medesimo tempo che da loro venisse un via libera al suo governo, ad una compagine che, per compiacere i “grillini”, avrebbe schierato il peggio del peggio dell’antiberlusconismo militante ed irriducibile. Basti pensare all’atteggiamento di disprezzo con cui è stata respinta dal leader democrat  la richiesta del Pdl di trovare un’intesa sul futuro presidente della Repubblica.

In fondo si trattava di un’istanza più che legittima e le proposte (Gianni Letta, ancor più Marcello Pera) riguardavano personalità di alto profilo e di ottime credenziali. Ma ciò che è apparso intollerabile a chi scrive è stato il corteggiamento indecoroso al duo Grillo-Casaleggio e ai loro adepti del M5S, conclusosi con l’umiliazione in diretta via streaming.

Chi ha avuto uno stomaco abbastanza forte per assistervi (chi scrive non lo ha fatto) ha visto Bersani promettere un “pacchetto d’urto” sui temi sociali e contro la corruzione (ma chi glielo ha detto alla Corte dei Conti che in Italia la corruttela ha un “costo”di 60 miliardi l’anno?), una revisione della legge Fornero, una particolare attenzione al tema degli esodati (che liberazione per me non dovermene più occupare!), misure per le donne e gli omosessuali, finanche un’attenzione particolare per la Fiom.

E’ mancato solo che, prima della fine, Enrico Letta andasse a prendere due bacinelle per il lavaggio dei piedi dei due “grillini”. Tutto inutile, però. Così si è assistito, in diretta, alla inutile ed umiliante calata di braghe dell’ultimo erede di quello che fu il partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer (come intonavano, orgogliosi, i militanti nelle manifestazioni del Pci).

Oggi quei mitici dirigenti si rivoltano nella tomba a sentire Bersani, dopo aver mendicato tutte le possibili trappole regolamentari a favore del suo tentativo, affermare rivolgendosi  a due pescivendoli approdati in Parlamento con l’alta marea: “Siete voi la forza più prossima al cambiamento”.

Ma che cosa è il “cambiamento” che propone il M5S? Quello di far approvare da un Parlamento trasformato in una Convenzione giacobina una legge che stabilisca l’ineleggibilità di Silvio Berlusconi (si noti: un provvedimento ad personam), addirittura con efficacia retroattiva, dopo vent’anni in cui questo problema non era mai stato sollevato? E’ cambiamento il casino per il casino, il nuovismo fine a se stesso, anche quando è fetido come la morte?

Crediamo proprio di no. Soprattutto, nessuno ha il monopolio del cambiamento vero. Bersani sarà ricordato come lo sdoganatore di un movimento populista, settario nel significato proprio della parola, fascistoide. Per come si sono messe le cose, mi auguro che si torni presto alle urne. La situazione è grave, ma la soluzione indicata da Bersani avrebbe fatto precipitare il Paese ancor più nel caos, perché non sono le liste di proscrizione a curare l’economia.

Se saremo chiamati di nuovo alle urne chi scrive starà con quelle forze che, con maggiore decisione, faranno sentire al M5S il grido “No pasaran”. La parola d’ordine delle “Brigate internazionali” alla difesa di Madrid nel 1936.

Intanto, Pier Luigi Bersani faccia tesoro di quanto Winston Churchill disse a Neville Chamberlain di ritorno da Monaco nel 1938: “In nome della pace avete perduto l’onore. Avrete sia il disonore che la guerra”.

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