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Il dissidio Bersani-Napolitano

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Sergio Soave apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

I costituzionalisti che si interrogano con argomenti raffinati e talora cavillosi sulla liceità delle innovazioni introdotte da Giorgio Napolitano nella prassi di gestione delle crisi di governo, per quanto individualmente apprezzabili per dottrina e competenza, rischiano di fare la fine dei cosiddetti “cremlinologi”, che sapevano interpretare con sottili virtù ermeneutiche le minime oscillazioni nella composizione del politburo sovietico, ma non si accorsero che l’intero sistema stava crollando su se stesso.

Il sistema istituzionale italiano, quello definito nella seconda parte della carta costituzionale, invece di rappresentare la traccia per la soluzione della crisi nazionale, che non è solo una crisi di governo, rappresenta ormai di fatto un ostacolo, che Napolitano cerca di scavalcare in qualche modo, pur rispettandone formalmente il dettato. D’altra parte il partito “costituzionalista” per definizione, il Partito democratico di Pierluigi Bersani, ha inferto il colpo più duro alla prassi costituzionale, quando il presidente incaricato a condizione che radunasse una maggioranza certa anche al Senato si è rifiutato di rinunciare all’incarico pur non avendo ottemperato alle condizioni che aveva accettato.

È in seguito a questo sgarro che il presidente, che non voleva inviare alle camere un governo senza fiducia e non poteva conferire un nuovo incarico finché Bersani non mollava quello che avrebbe dovuto cedere, si è autoincaricato di svolgere la verifica tra le delegazioni dei gruppi parlamentari, per poi nominare gruppi informali con il mandato di verificare gli elementi programmatici di un eventuale governo di convergenza, più o meno esplicita, tra le forze politiche tradizionali.

Per intanto ha riesumato il governo tecnico, che è tutto quello che c’è, facendo intendere che, in assenza di un accordo di governo, lo terrà in carica fino a quando un nuovo presidente della Repubblica potrà decidere se conferire un nuovo incarico o sciogliere le camere. Questa soluzione non piace a nessuno, non piace a Bersani che vi legge il rifiuto sempre più netto dell’anziano presidente ad accettare il suo ricatto al limite dell’insubordinazione istituzionale, non piace al centro-destra che vede diluirsi nel tempo la possibilità di una trattativa senza pregiudiziali sulla presidenza della Repubblica. Le due maggiori formazioni insistono nel rivendicare un governo “politico”, ma intanto lasciano solo a Napolitano l’onere di costruire uno sbocco politico realistico, mentre loro, per pigrizia o per paura, si arroccano su opposte pretese propagandistiche.

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