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Il debito privato affossa la Slovenia

Un altro piccolo indiano dell’Ue allunga la fila di quelli finiti nella macina dei mercati e candidati all’eurouscita. Proprio stamane la Commissione Ue ha certificato che la Slovenia è un malato grave, con rischi notevole a causa del super indebitamento contratto negli ultimi anni.

Ma da tempo ormai gli osservatori guardano alla Slovenia come il protagonista della crisi prossima ventura. E i risultati dell’ultimo Economic survey dell’Ocse sembrano confermare la brutta sensazione che passata la buriana di Cipro l’eurozona dovrà vedersela con un’altra, stavolta proveniente da questo piccolo stato che conta appena un paio di milioni di abitanti, entrato nell’unione monetaria nel gennaio del 2007, con un Pil, a prezzi correnti 2012, di 35,5 miliardi.

Senonché, proprio dall’ingresso nell’Unione cominciano i guai della Slovenia.

La media della crescita del Pil negli ultimi cinque anni è stata negativa per l’1,1%, a fronte di una media Ocse del +0,8%. “L’economia è in profonda recessione – scrive l’Ocse – la disoccupazione aumenta e la performance dell’export è in stallo”.

Osservare i conti nazionali della Slovenia conferma un’altra amara verità: lo squilibrio non parte dai conti pubblici – in Slovenia il debito sul Pil nel 2011 era al 52,1% a fronte di una media Ocse del 98,5 – ma dal debito privato e, in particolare, da quello estero. Basti considerare che la posizione netta estera, sempre a fine 2011, era negativa per il 39,3% del Pil.

Il problema è che il deterioramento della posizione debitoria ha avuto, e avrà sempre di più anche in futuro, un impatto notevole sui conti pubblici. Lo Stato, infatti, è stato costretto a ricapitalizzare le banche, in gran parte pubbliche, proprio per ovviare alla “severa crisi bancaria” che, aggiunge l’Ocse, “è stata guidata da un’eccessiva presa di rischio”. Tale azzardo morale, chiamiamolo così, ha contagiato anche il settore corporate, gravato da una mole enorme di debiti che lo spingono verso l’insolvenza.

Ne è scaturito un notevole piano di de-leveraging che, come di consueto, si è articolato lungo le solite coordinate: consolidamento fiscale, riforme strutturali, programmi di privatizzazione e salvataggi bancari a spese dello Stato. Con la conseguenza che senza interventi correttivi il Debito/Pil è previsto  sopra il 100% già nel 2025. Ciò malgrado, il giudizio dell’Ocse non è dei più ottimistici: “La posizione fiscale non è ancora sostenibile”.

Servirà dell’altro, insomma, a cominciare da una profonda rivisitazione del welfare, pensioni e sanità in testa. Il film, insomma, va in quinta o sesta visione. Con i soliti titoli di coda: “Il mercato del lavoro non è ancora sufficientemente flessibile, anche se le recenti riforme del mercato del lavoro dovrebbero ridurre significativamente il dualismo esistente”.

Alcuni grafici contenuti nel documento, poi, forniscono informazioni utili a chi vuole comprendere perché siamo in questa situazione.

Uno, in particolare, racconta la storia delle esportazioni dal 2000 al 2012. Fatto 100 l’indice dell’export nel 2000, le esportazioni slovene vanno alla grande fino al 2008, persino meglio di quelle tedesche.

L’indice, sempre nel 2008, quota quasi 120 per la Slovenia, circa 110 per la Germania mentre quelle italiane crollano a 70. Meglio della Slovenia fanno solo i paesi del centro-est Europa (che sono fuori dall’euro) che svettano verso 140.

Dopo il 2008 il mondo cambia. L’export sloveno inizia a declinare, tanto che, nel 2012, finisce sotto quello tedesco. Quello italiano smette di declinare, ma non aumenta, al contrario di quello dei paesi fuori dall’euro che supera 140.

E il futuro, per i conti commerciali sloveni non è previsto in miglioramento: il contributo dell’export alla crescita del Pil, che quotava 3,3 punti nel 2012, è previsto in calo a 2,6 quest’anno e a 2 nel 2014. Ciò malgrado il saldo del conto corrente sul Pil sia previsto in crescita quest’anno e il prossimo.

Questo a fronte di un incremento della disoccupazione che dal valore medio del 5,8% del periodo 2003-2008 è prevista arrivi al 9,8% nel 2014. E il bilancio pubblico segue. Il deficit/Pil a seguito della correzione approvata, dovrebbe arrivare al fatidico 3% l’anno prossimo, a fronte però di un aumento del debito pubblico che arriverà lo stesso anno al 61% del Pil.

Vi sembra poco? Ma è più o meno il livello al quale si trovava la Spagna prima della crsi bancaria, che in Slovenia, come in Spagna, sta colpendo duro.

Bastano un paio di dati per rendersene conto. L’incidenza dei debiti bancari sul Pil è passata dal 40% del 2003 al 92% del 2011: più del doppio, riflettendo “una combinazione – scrive l’Ocse – fra i tassi di interesse bassi e un massiccio afflusso di capitali esteri (chissà da dove, ndr) che hanno fatto esplodere il rapporto fra prestiti/depositi al 136% nel 2012, dopo il picco del 160% raggiunto nel 2008″.

Questo dovrebbe bastare a quelli che dicono che i tassi bassi sono stati una benedizione per l’eurozona.

La conseguenza è che i prestiti in sofferenza in Slovenia hanno superato il 15% del totale. In questa triste classifica generale la Slovenia è quarta, dopo Grecia, Irlanda e Ungheria.

Per la cronaca: l’Italia è quinta, prima di Portogallo e Spagna.

Il mitico dividendo dell’euro, finora, per la Slovenia ma non solo, è una gigantesca cambiale che ora gli stati sono chiamati a pagare.

Indovinate a chi.

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