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Monti, cronaca di un fallimento annunciato

Ormai è un fatto ufficiale. Mario Monti si è ritirato dalla politica attiva. O meglio, dal confronto democratico con il consenso e le sue regole ciniche. Infatti, le dimissioni dal potere è inutile attenderle. Non a caso, il modo in cui il professore ha deciso di comunicare questa sua decisione è molto diverso dal modo in cui determinò solo pochi mesi fa di candidarsi a leader dell’Italia. E, addirittura, appare perfino opposto al modo in cui è sceso dall’olimpo tecnocratico dell’Europa nel 2011 per occuparsi dei miseri affari nostrani, dopo anni di preghiera da destra e manca.

Ma guarda un po’ la vita. Dopo che attorno alla sua figura si è collocato il significato specifico della passata Legislatura, riassunto in quella decisione di Napolitano alla quale tutto il Paese ha dovuto arrendersi attonito; ecco che adesso il professore decide di fare un passo indietro, ritirandosi a vecchia vita, o forse a nuova chissà, dipende dal contesto, per lasciare tutto peggio di prima. Non male. La delusione resta per chi vi ha creduto, insieme alla beffa di un progetto svanito nel nulla a causa della sua squallida genealogia, soprattutto nell’esercizio di una guida, quella di Mario Monti, non prevista, poi attesa, infine fallita con nonchalance.

Che cosa dire? E’ l’Italia di oggi, un Paese cui manca tutto, a cominciare dall’austerità delle persone e dei partiti. In effetti, il ministro Barca nel suo manifesto ha ragione in questo, almeno dal suo punto di vista che ormai è quello del PD: non esiste politica senza partiti. Il problema è che, però, il PDS ha contribuito, vent’anni fa, all’eliminazione dei partiti moderati, non pensando fino in fondo che ciò avrebbe comportato in seguito anche una crisi di se stesso, della propria legittimità, posteriormente alle molteplici metamorfosi vissute. Dopo Danton, infatti, la forca arriva sempre anche per Robespierre, il forcaiolo: è legge storica e regola di vita.

Per contro, Monti, simbolo del nuovo che Napolitano avrebbe voluto che nascesse dopo di lui, ecco che è divenuto emblema del fallito tentativo di raccogliere una soluzione sotto la coltre alchemica della nomenclatura blasonata.

Adesso che Monti se ne va, rimanendo comunque senatore a vita, viene di chiedersi non tanto che ne sarà di Scelta Civica, perché conta poco, ma che ne sarà del nostro Paese. Il fallimento del progetto, infatti, era previsto, anche se, almeno dal mio punto di vista, inaspettato, mentre il valore di quello che si poteva fare resta d’attualità: purtroppo è mancata una figura in grado di raccontare il Paese al Paese, pur avendo con sé, nelle proprie liste, il Paese vero, quello che poteva emergere realmente con mentalità di Governo al posto del dissipatore movimento grillino.

Monti addio, evviva la democrazia, mi viene di dire. Perché gli italiani, capendo in anticipo il fallimento annunciato, al contrario di noi ignari studiosi e analisti, hanno dato il voto che era di Monti ai seguaci di Beppe Grillo che non avranno altra funzione se non quella di accelerare la chiusura della Prima Repubblica e affrettare il Governo politico delle larghe intese. Un voto popolare, dunque, al solito, assennato e intelligente.

E a stupire in tutta questa faccenda è che Monti ha annunciato il passo indietro con la stessa indifferenza con cui è sceso in campo, in nome di un’incapacità di guidare un partito e di un tracollo, tutto sommato, facile da confessarsi solo per chi non gli dà poi tanta importanza. Se non altro, adesso Monti sa che può fare politica solo chi è sufficientemente folle da avere passione o abbastanza motivato da essere totalmente distaccato dal proprio tornaconto, ma non chi ha solo ambizioni personali. La politica, infatti, non ama chi non la ama. E il fatto vero è che questa sua scomparsa dalle scene è tipicamente montiana, ossia mite, quasi silenziosa, direi perfino indifferente. Anche perché gli occhi di tutti, adesso, sono sul futuro della nazione e sul Quirinale, perché è da quel Colle presidenziale, si deve sperare, che verrà la conclusione di un ciclo e l’apertura di una fase non civica ma politica della storia italiana. Senza però più sogni irrealizzabili, per favore.

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