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Che cosa succede allo Ior con Papa Francesco

Con l’insediamento di Papa Francesco quale Vescovo di Roma, avvenuto domenica scorsa nella Basilica di San Giovanni in Laterano davanti a migliaia di fedeli, si è chiuso definitivamente il tempo dei “festeggiamenti” per il successore di Benedetto XVI. Papa Francesco dovrà, a questo punto, iniziare a prendere in mano i dossier più scottanti che riguardano il governo del Vaticano. Se la sanità, con l’arresto di padre De Caminada, è improvvisamente divenuta una priorità per Papa Francesco, vi è anche un altro dossier al quale viene attribuita una priorità assoluta: la riforma dello Ior e la trasparenza nelle finanze vaticane.

Le nomine di Bertone allo Ior
Quelle del nuovo presidente della banca del Vaticano e della commissione cardinalizia di sorveglianza sullo Ior sono state forse le nomine più controverse, avvenute con una tempistica alquanto sospetta secondo alcuni osservatori. Per quasi nove mesi, ovvero dal licenziamento di Ettore Gotti Tedeschi nel maggio 2012, lo Ior è rimasto senza presidente, riuscendo a svolgere senza alcun problema particolare la propria attività. Ma subito dopo le dimissioni di Papa Benedetto XVI, annunciate l’11 febbraio, è iniziato un pressing del Segretario di Stato Tarcisio Bertone per imprimere un’accelerazione nella scelta del nuovo presidente dell’istituto bancario. Un’accelerazione, quella di Bertone, sfociata poi nella nomina del tedesco Von Freyberg alla guida dello Ior. Una nomina alla quale si è aggiunta la sostituzione, in seno alla commissione cardinalizia, del cardinale Attilio Nicora, che più volte si è scontrato con Bertone, con Domenico Calgagno, presidente dell’Apsa nonché uomo di fiducia del Segretario di Stato. E da più parti ci si è interrogati sull’opportunità di tali nomine, dal momento che sarebbe stato più logico lasciare al nuovo Papa la scelta del presidente dello Ior.

L’ombra dello Ior sul conclave
Alla luce di questi presupposti, quindi, non deve stupire il fatto che la questione dello Ior sia stata fonte di tensioni nel corso delle Congregazioni generali in vista del conclave. Il cardinale Bertone, infatti, ha criticato il suo “collega” brasiliano Braz de Aviz per avere manifestato, in maniera pubblica, il proprio dissenso sulla gestione dello Ior e, più in generale, sulla gestione della Curia, accusandolo anche di avere trasmesso alcune informazioni agli organi di stampa. Il cardinale brasiliano ha seccamente smentito questa accusa, affermando, al contrario, che quelle informazioni molto probabilmente erano state fatte trapelare da quella che lui stesso ha definito “l’organizzazione”. Con tanto di applausi di molti dei cardinali presenti. Un fatto, lo scontro tra Bertone e de Aviz, sul quale si è dovuto soffermare il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, secondo il quale “la situazione dello Ior non è il punto principale per avere criteri sulla scelta del Papa”.

L’incidente diplomatico
Lo Ior è da sempre sinonimo di misteri ed intrighi. E di certo non giova alla propria “reputazione” quanto accaduto qualche settimana fa all’aeroporto di Ciampino. Secondo quanto riportato dal settimanale L’Espresso, infatti, la Guardia di Finanza ha fermato monsignor Roberto Lucchini e l’avvocato Michele Briamonte. Due personaggi di rilievo dal momento che, come evidenzia L’Espresso, “il primo è uno dei collaboratori più fidati del Segretario di Stato Tarcisio Bertone mentre il legale, partner dello studio Grande Stevens, è da anni consulente dello Ior”. Secondo la ricostruzione dei fatti, in particolare, Briamonte e Lucchini si sarebbero opposti alla perquisizione esibendo il passaporto diplomatico vaticano. E sarebbero riusciti anche ad evitare i controlli delle proprie borse grazie all’intervento diretto della Santa Sede. Una ricostruzione, quest’ultima, smentita dall’avvocato Briamonte per il quale “ci vuole fantasia per trasformare un normale controllo doganale in un caso diplomatico”.

Le sfide di Papa Francesco
Papa Francesco, quando era arcivescovo di Buenos Aires, aveva fatto della lotta alla corruzione, come dimostra uno dei libri da lui stesso scritti e recentemente presentati presso la sede de La Civiltà Cattolica, uno degli assi portanti della sua azione. E’ chiaro, quindi, che il successore di Benedetto XVI proseguirà l’azione di trasparenza che il suo predecessore non è riuscito a portare a termine. Da un lato, infatti, un primo obiettivo sarà quello di “traghettare” lo Ior all’interno della white list dell’Ocse. Un’operazione, quest’ultima, che potrebbe però richiedere ancora parecchi anni e che avrà come base di partenza la valutazione di Moneyval, per la quale il Vaticano, ad oggi, è in regola solo con 9 parametri su 16. Un giudizio, quello dell’organismo del Consiglio d’Europa, che è stato presentato, forse un po’ troppo trionfalmente, come una promozione. Dall’altro lato, poi, sarà necessario ricostruire il rapporto con l’Italia, messo a dura prova dalle continue inchieste delle procure italiane, dai continui rifiuti dello Ior a collaborare, e dal recente scontro con la Banca d’Italia per il pagamento tramite i bancomat. E’, infatti, il riciclaggio, secondo le autorità italiane, il pericolo maggiore che incombe sulle attività della banca vaticana.

I primi (timidi) passi verso la trasparenza finanziara
E’ previsto per il prossimo dicembre 2013 il nuovo rapporto Moneyval che avrà ad oggetto i progressi compiuti dalla Santa Sede in materia di riciclaggio. Moneyval, tra l’altro, ha accettato la richiesta della Santa Sede di essere valutata in maniera più ampia e completa di quanto previsto dall’organo del Consiglio d’Europa, con riferimento, quindi, non solo alle “core recommendations” ma anche alle “key recommendations”. Tale decisione di Moneyval è stata accolta con soddisfazione dalla Santa Sede quale dimostrazione della volontà di “rafforzare ulteriormente il proprio assetto istituzionale nel campo della prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo”. Se da un lato tale richiesta risale al dicembre scorso, e quindi non imputabile al nuovo corso di Papa Francesco, dall’altro lato deve farsi notare, come evidenziato dal vaticanista Andrea Tornielli, di come si tratti, talvolta, “di includere norme riguardanti casi che non si potranno mai verificare, come ad esempio fatti illeciti su piattaforme petrolifere, negli aerei delle compagnie di bandiera o sulle navi”. E che di strada verso la trasparenza ce ne sia ancora tanta da fare lo dimostra il recente caso del “Madoff dei Parioli”. Dinanzi alla richiesta del pubblico ministero che domandava “l’elenco degli istanti che hanno provveduto ad elargire somme di denaro a monsignor Francesco Maria Ricci”, lo Ior ha risposto inviando solamente gli importi oggetto di transazioni senza però indicare né la provenienza né i destinatari.

Le parole di Caloia
Chiamato da Giovanni Paolo II a sostituire il cardinale Marcinkus alla guida dello Ior, Angelo Caloia ne è stato il presidente sino al 2009. Una volta lasciato il posto a Gotti Tedeschi, la decisione di dedicarsi agli studi di economia ed etica, cercando di rimanere fuori da ogni questione che riguardasse la banca vaticana. Hanno destato, quindi, abbastanza stupore le parole di Caloia in un’intervista a Vatican Insider. Secondo l’ex presidente dello Ior, infatti, “bisogna tenere con i componenti della comunità ecclesiale un rapporto non di natura commerciale e neppure di transazione, ma semplicemente solidaristico-comunitario. Non può sussistere un sistema che si arricchisce facendo diventare più poveri gli altri componenti della comunità della Chiesa”. Ma quale, secondo Caloia, la soluzione? “Basterebbe una rifondazione, con un ritorno alle origini. Basterebbe ricondurre l’istituzione al ruolo che le compete all’interno della comunità”.

Il possibile ruolo di Bertello
Secondo quanto trapelato recentemente, esisterebbe un piano di riforma dello Ior, secondo il quale la banca vaticana verrebbe ricondotta sotto il controllo del Governatorato, più precisamente del Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, presieduta da Giuseppe Bertello. Lo Ior verrebbe così a trovarsi inglobato all’interno della burocrazia vaticana, sul modello dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa). Che questa possa essere una soluzione praticabile ne è convinto Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa, il quale scrive che tale progetto “bilancia due spinte opposte. Quella di chi, come i cardinali Schoenborn e Onayekan, intende chiudere lo Ior (per stipulare una convenzione con una banca etica), e quella di quanto come Sodano e Sandri vorrebbero che le cose restassero come sono ora, con i bilanci dell’istituto che non vengono resi noti e con la banca del Papa che tecnicamente non fa parte degli organismi della Santa Sede”.

L’ipotesi di chiudere lo Ior
La notizia ha fatto il giro del mondo in poco tempo, battuta dal vaticanista della Cnn John Allen: “un ex collaboratore afferma che Francesco potrebbe chiudere lo Ior”. Una forzatura, in realtà, di quanto affermato dall’ex portavoce del cardinale Bergoglio, Federico Wals, secondo il quale “è del tutto possibile che Papa Francesco applichi in Vaticano le stesse ricette di gestione amministrativa usate quando era arcivescovo di Buenos Aires”. Ricette che, come ha ricordato lo stesso Wals, prevedevano la rinuncia a partecipazioni delle diocesi in diverse banche al fine di garantire un maggiore rigore nei conti della Chiesa. Bergoglio, in particolare, come affermato dall’ex portavoce “si sbarazzò delle partecipazioni ricorrendo a banche di prim’ordine sulla piazza, come Hsbc o Ubs”. Ma non è la prima volta che si parla della possibilità della chiusura dello Ior. Risuonano, infatti, ancora forti le parole del cardinale Onayekan rilasciate ai microfoni di La7: “Lo Ior non è essenziale al ministero del Santo Padre. Non so se San Pietro avesse una banca. Lo Ior non è fondamentale, non è sacramentale, non è dogmatico”.

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