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Renzi premier?

Partiamo da qui. Partiamo da questo passaggio tratto integralmente dal discorso d’insediamento del Presidente Napolitano “Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti, che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale, non si sono date soluzioni soddisfacenti: hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi”.
Per Napolitano è necessario e urgente che la politica incontri la domanda che arriva dai cittadini. Rinnovamento, riforme e soluzioni al malessere sociale devono essere la priorità. Parole che sono le stesse con cui Matteo Renzi ha costruito il suo posizionamento politico quando ha corso per le primarie del Partito Democratico.
Se la politica fosse solo l’arte di trovare soluzioni ai problemi della comunità per garantirle maggiore benessere, se la politica fosse solo un problema di semantica, beh potremmo concludere che un Matteo Renzi premier di una coalizione di larghe intese rappresenti la figura che oggi meglio incarna l’idea che ha Giorgio Napolitano per uscire dallo stallo in cui paese è finito.

Però la politica non è solo questo. Perché tra le infinite soluzioni che realizzano il benessere della comunità, vanno trovate quelle che rispettano altri obiettivi. Quelli dei portatori d’interesse ad esempio. A maggior ragione se si riducono i costi della politica. Politica, quella italiana, che vive un momento di grande disorientamento. Da una parte c’è un problema di governo della rappresentanza dovuto alla crisi dei partiti maggiori. Il PDL che sa coagularsi solo attorno a Silvio Berlusconi e il PD che, errare è diabolico, ha saputo compattarsi solo attorno all’antiberlusconismo. Entrambi i due schieramenti non sono stati capaci di elaborare un programma politico a lungo termine su cui incardinare sforzi, lotte, dibattiti. Partecipazione.
Dall’altra, in quel vuoto d’idee e del malcontento diffuso dovuto alla crisi, si è inserito il Movimento 5 Stelle. Un movimento che ha delle idee, condivisibili e non, e che si propone di affermare un metodo di rappresentanza partecipata, dal basso.
Il Movimento 5 stelle, per sua stessa natura, incontra l’urgenza della gente, sebbene con un’impronta fortemente populista, di voler partecipare. Di voler incidere sulle scelte, sulle decisioni che la riguardano senza il filtro, senza tutta quella catena d’intermediari fatta di politici e funzionari pubblici che tra tatticismi e logiche di partito e di opportunità non fanno, o fanno ma a modo loro.

Farsi la domanda “Renzi premier” significa quindi chiedersi se a Renzi conviene prestarsi, proprio in questa fase, così delicata e scivolosa della politica. In un momento in cui la sua leadership, che durante le primarie del PD sembrava rispondere a una legittimazione popolare larga e trasversale ai due schieramenti, avrebbe invece il sapore di un’imposizione dall’alto.
Quando Renzi concorreva contro Bersani durante le Primarie del PD era diffusa l’opinione che Renzi avrebbe disinnescato sia Berlusconi che Grillo. A riprova del fatto che, almeno a favore di telecamera, Renzi era riuscito a riavvicinare gli italiani alla politica senza ricorrere a derive populiste. Ma oggi se lo indicasse Napolitanoi sarebbe la stessa cosa? Dovendo peraltro disinnescare in Parlamento quegli stessi avversari che ieri avrebbe potuto chiedere agli italiani di sconfiggere per lui dentro il segreto dell’urna?

Pierluigi Battista in un suo tweet qualche giorno fa diceva: “Fuorilegge chi dice autoreferenziali”. Probabilmente Battista era ironico. Tuttavia se uno fosse partito dall’Italia ai primi di Novembre del 2011 e fosse ritornato solo oggi in Italia troverebbe tutto come l’aveva lasciato. L’unica differenza la Concordia accasciata davanti all’isola del Giglio.
Napolitano a Novembre del 2011 sciolse le camere e diede a Monti l’incarico di assemblare un governo che rimettesse le cose in ordine scevro dalle logiche elettorali con cui i partiti devono fare normalmente i conti. Monti non solo non ha risolto i problemi, ma anziché mantenere la sua posizione autorevole di “tecnico” ha deciso di darsi alla politica. Anziché essere lui l’antidoto alla politica, è stata la politica a fagocitarlo e con lui quel povero cagnolino con cui sperava di conquistare un largo consenso. Il risultato elettorale ha quindi generato un emiciclo, che è poi il sistema operativo di un paese che, per rimanere nella metafora dell’informatica, è una cattiva beta version. Un sistema pieno di bachi e molto instabile al punto da dover ricorrere a nuova release Napolitano 2.0, come ha titolato Il Foglio. Chi sarà dunque il System Administrator? Uno come Renzi, certamente, andrebbe benissimo. Ma per lui vorrebbe dire mettere in gioco molto. Potrebbe andare incontro a un governo di breve durata. Potrebbe scontrarsi con le mille corporazioni di questo paese. Con l’inerzia al cambiamento di quei moderati che andrebbe a rappresentare. Il contesto internazionale non lascia intravedere una ripresa a breve termine e le sue riforme potrebbero quindi non produrre alcun effetto. Al netto di tutto, il paese pur riconoscendogli il coraggio, lo giudicherebbe con la pancia e con la tasca. E queste tra un anno rischiano seriamente di essere più vuote.
Alla domanda “Renzi premier ?” io risponderei di si. Ma è lui stesso a rispondere: “Il capo del governo lo sceglie il Presidente della Repubblica con le convergenze che si realizzeranno. Il problema quindi non si pone”.

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