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Sudcoreani via da Kaesong

A Kaesong non rimarrà nessuno. Il governo di Seul ha deciso oggi di richiamare gli ultimi 175 sudcoreani che ancora sono nel complesso industriale congiunto di Kaesong. L’area industriale, dieci chilometri a nord della zona demilitarizzata che spacca la penisola, è ferma dal 9 aprile, per la decisione del regime di Pyongyang di richiamare i 53mila suoi operai che lavorano in 123 piccole e medie aziende sudcoreane.

Il complesso era considerato uno dei risultati più duraturi della politica di distensione tra le Coree avviata nei primi anni Duemila e capace di resistere sia alla linea dura contro il regime seguita dalla passata amministrazione sudcoreana di Lee Myung-back sia al bombardamento nordcoreano contro l’isola di Yeonpyeong a novembre del 2010 e a marzo dello stesso anno all’affondamento della corvetta Cheonan in cui morirono 46 marinai.

Ieri Seul aveva chiesto a Pyongyang colloqui formali per sbloccare la situazione dopo un primo tentativo andato a vuoto per colloqui informali tra gli imprenditori e l’ufficio del governo nordcoreano che sovraintendente la zona.

Dal Nord è arrivato un no, l’ennesimo in questi mesi di tensioni e minacce che hanno fatto seguito al terzo test nucleare condotto dal regime lo scorso 12 febbraio.

Pyongyang motiva l’iniziale scelta di vietare l’accesso a lavoratori e merci sudcoreane e poi il ritiro dei propri operai con il rischio che la presenza di cittadini del Sud nel complesso potesse diventare la miccia per spingere Washington e Seul ad attaccare.

Il regime ha inoltre respinto a più riprese quelle che considera insinuazioni sul timore di fermare la produzione nell’area industriale, principale fonte di valuta estera per i Kim e i loro generali che trattengono parte dei 130 dollari al mese che gli imprenditori versano agli operai.

Con la produzione ferma da settimane le piccole e medie aziende del complesso industriale rischiano il fallimento. Nei giorni scorsi sono arrivate a chiedere al governo di proclamare lo stato di calamità. Richiesta che Seul non ha potuto accogliere perché non c’è stato alcun disastro naturale, ma sia l’esecutivo sia il Parlamento hanno comunque pronto un piano di sostegno i cui dettagli saranno resi pubblici al più presto.

Sul piano diplomatico il nodo resta la denuclearizzazione. È la precondizione necessaria a avviare un dialogo per statunitensi e sudcoreani.

Di contro, il Nord non vuole rinunciare all’idea di essere riconosciuto potenza nucleare, il che lo metterebbe in una posizione di maggiore forza al tavolo delle trattative, e chiede la revoca delle sanzioni Onu imposte proprio contro le ambizioni atomiche e missilistiche del regime.

E il prossimo 7 maggio la presidentessa sudcoreana, Park Geun-hye, sarà a Washington per incontrare Barack Obama. Solo allora presenterà il suo piano per la pace in Asia nordorientale che oltre alle Coree e agli Usa dovrebbe coinvolgere Cina e Giappone.

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