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Ius soli, diventare italiani è di destra o di sinistra?

Pubblichiamo l’analisi dell’editorialista Federico Guiglia uscito oggi sul quotidiano Il Tempo diretto da Sarina Biraghi

Ma diventare italiani è una cosa di destra o di sinistra? Vien da chiederselo, incredibilmente, dopo che la politica è riuscita a trasformare in guerra ideologica anche un’importante e moderna questione civile, come indica la parola stessa: la questione della “cittadinanza”. Quasi che il criterio dello “ius sanguinis”, alla base della legge in vigore, dovesse contrapporsi al criterio dello “ius soli”, alla base di una nuova legge che si vorrebbe introdurre.

Grazie al primo caso, i figli di Garibaldi – sì, proprio l’eroe dei due mondi – hanno potuto tramandare la loro italianità di generazione in generazione. Essi, Teresita, la sfortunata Rosita -morta ad appena due anni e mezzo – e Ricciotti, erano nati a Montevideo, capitale dell’Uruguay. E Menotti, il fratello che li aveva preceduti, era nato in Brasile, patria di Anita, mamma, moglie ed eroina. Senza la lungimiranza dello “ius sanguinis”, che concede la cittadinanza italiana ai discendenti di italiani, il ramo italianissimo del più grande patriota d’Italia e del Risorgimento sarebbe diventato straniero. Straniero in patria!

Dunque, giù le mani dallo “ius sanguinis”, che testimonia una visione aperta della vita delle persone e dell’identità dei popoli: si può essere italiani a prescindere dal luogo del pianeta Terra in cui si nasce, purché nella famiglia d’origine esista una storia italiana, maschile o, dal 1948, l’anno della Costituzione, femminile a cui potersi riferire.

“Sì, ma perché considerare italiano un argentino di terza generazione che neppure parla la nostra lingua?”, obietta qualcuno. Senza però aggiungere che, se quell’argentino di terza generazione non parla l’italiano, è perché i suoi genitori, e soprattutto le istituzioni italiane poco o nulla hanno fatto per trasmetterglielo. Non si può imputargli una colpa che non ha. E comunque l’italiano lo imparerà, se ha scelto in libertà di acquisire la cittadinanza italiana, in omaggio alla tradizione della sua famiglia e come speranza di un futuro migliore. Quell’argentino di terza generazione, l’“argentino italiano” come andrebbe, in realtà, definito, è un investimento umano, morale, culturale e perfino economico che l’Italia, cioè la patria dei suoi avi, ha scelto di fare. Con intelligenza, con generosità, guardando al domani.

Ma accanto – e non “al posto” – dello “ius sanguinis”, oggi si pone il tema, altrettanto forte e attuale, dello “ius soli”. Che è semplice: considerare italiano chi nasce in Italia, senza fargli pagare il pedaggio anacronistico e irragionevole dell’avere oppure no genitori “stranieri”. Si parla di quel milione di ragazzi non italiani (mi correggo: non ancora italiani) privi della cittadinanza, pur essendo, spesso, più italiani degli italiani. Come capita, del resto, a chi sceglie la patria per amore, per necessità, perché è l’unica patria che conosce: anche se la patria non lo riconosce. Sono giovani che frequentano le nostre scuole e le nostre case, che parlano con l’accento dei nostri dialetti, che tifano per gli Azzurri in ogni ambito sportivo, che cantano in italiano, che si vestono con l’eleganza italiana, che mangiano l’eccellente cibo italiano. Non meno dei figli di Garibaldi nati a diecimila chilometri dall’Italia, anch’essi, i figli di stranieri nati in Italia, devono avere non solo il diritto, ma soprattutto il piacere di poter dire “sono italiano”.

E noi questo piacere proviamo ancora a negarlo con argomenti ridicoli e offensivi, tipo quello che “allora tutte le madri del mondo verrebbero a partorire in Italia”, come si sente dire. Subliminalmente intendendo per “mondo”, in realtà, il “terzo mondo”. Sarà un caso: nessun politico critica la presenza della tedesco-italiana Josefa Idem al governo, ma diversi quella della congolese-italiana Cécile Kyenge (nella foto). Eppure, sulla cittadinanza Josefa e Cécile la pensano allo stesso modo.

E allora a chi considera lo “ius sanguinis” di destra e lo “ius soli” di sinistra, bisogna rispondere che entrambe le filosofie rispecchiano perfettamente il percorso e i sogni dei “nuovi italiani”. Una nuova legge dovrà prevederle entrambe, la discendenza e la nascita, con misure graduali e di buonsenso. Una felice mescolanza legislativa all’insegna del vero principio che lega “ius sanguinis” e “ius soli”: è italiano, e ha diritto di diventarlo, chi ama l’Italia. Ovunque risieda nel mondo, qualunque sia l’identità dei suoi padri residenti nel Belpaese.

Federico Guiglia

f.guiglia@tiscali.it

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