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Chi ha paura degli Organismi Geneticamente Modificati?

La prestigiosa rivista scientifica Inglese Nature ha pubblicato di recente un numero monografico dedicato al problema degli OGM. Nell’editoriale si sostiene che la polemica sugli OGM rappresenta uno dei più grandi errori di comunicazione della scienza degli ultimi cinquant’anni. Ampi settori dell’opinione pubblica sono spaventati dalle tecnologie del DNA ricombinante che permettono lo sviluppo di organismi geneticamente modificati. Molti sono sostengono una teoria della cospirazione secondo la quale gli scienziati che si occupano dei OGM sarebbero al soldo delle multinazionali e inseguano il profitto con ogni mezzo anche a costo di danneggiare tutta la popolazione. In altre parole esiste la percezione che i ricercatori siano una classe separata della società.

Quanto questo sia un problema reale anche in Italia è dimostrato dalle numerose prese di posizione contro gli OGM da parte di parlamentari di tutti i partiti politici.

Il primo esperimento di trasferimento genico in una pianta risale a 30 anni fa. La promessa era che le colture geneticamente modificate avrebbero permesso una seconda rivoluzione verde: cibi migliori, nuove generazioni di combustibili e di fibre. Avrebbero permesso di sfamare popoli, prodotto profitti per gli agricoltori e permesso un ambiente meno inquinato. Per certi aspetti questa rivoluzione si è realizzata. Sono state sviluppate nuove qualità di piante ingegnerizzate con caratteristiche utili e che ora coprono 170 milioni di ettari, in almeno 28 paesi. Allora perché tanta paura?

La storia della civiltà e’ contrassegnata dalla crescente capacità dell’uomo di utilizzare le risorse naturali al fine di migliorare le proprie condizioni di vita. Questo non vuol dire solo maggior abilità nel produrre manufatti o nel recuperare fonti di energia ma anche, e principalmente, domesticazione di specie vegetali e animali. La domesticazione è stata resa possibile da un’approfondita conoscenza delle regole di base della biologia animale e vegetale acquisita nei millenni dalle società di cacciatori-raccoglitori. Oltre a rendere meno dipendente l’uomo dalla disponibilità naturale di cibo, la domesticazione ha permesso che un numero crescente di individui potesse dedicarsi allo sviluppo tecnologico e al commercio. Lo sforzo intellettuale alla base di questo processo di domesticazione è evidente quando consideriamo che la maggioranza delle varietà di animali e piante utilizzate in agricoltura (oggi ma anche migliaia di anni fa) ha caratteristiche differenti da quelle delle specie naturali.

Il processo di domesticazione è basato su due principi fondamentali che sono anche alla base della teoria dell’evoluzione di Darwin: da un lato le mutazioni casuali che conferiscono caratteristiche nuove a piante e animali, dall’altro l’agricoltore/allevatore che seleziona le piante e gli animali più “utili” e contro-seleziona le varianti e le specie “dannose”.

Data che le mutazioni avvengono casualmente, é facile intuire che la probabilità che esse producano caratteristiche considerate vantaggiose dall’uomo sono estremamente basse.

Inoltre le nuove varietà di piante e animali selezionate dall’uomo per migliorare la qualità e la produzione, diventano inevitabilmente il bersaglio di nuove varianti di virus, batteri e funghi patogeni. Fa parte del gioco dell’evoluzione che ha dato origine a tutte le specie presenti sul pianeta, in una continua rincorsa tra predati e predatori, tra ospiti e organismi patogeni. L’uomo si è inserito in questa competizione selezionando piante e animali resistenti o sviluppando tecniche per eliminare selettivamente gli organismi dannosi per le sue coltivazioni e allevamenti.

Con lo sviluppo del concetto di gene e la scoperta del DNA, abbiamo capito che il tasso di mutazione, che determina la velocità con cui si originano nuove varianti potenzialmente interessanti per l’uomo, poteva venir aumentato trattando le piante con agenti fisici (radiazioni) e chimici. Questi trattamenti sono ammessi dall’attuale legislazione europea e vengono applicati regolarmente. Alla fine del 2000 il numero di varietà vegetali ottenute con questi processi era circa 2000, la metà delle quali erano cereali (fonte F.A.O.).

Nonostante gli agenti mutageni agiscano sul DNA modificandone la sequenza, gli organismi ottenuti in seguito a trattamento con mutageni non vengono classificati come OGM in quanto la loro produzione non implica l’uso di tecniche di DNA ricombinante. E’ importante sottolineare che il risultato finale è comunque simile: ogni nuova varietà di pianta e animale ha una sequenza di DNA diversa da quella delle varietà precedenti, indipendentemente dal fatto che origini per mutazioni casuali che si verificano spontaneamente in natura, o sia ottenuta in seguito a trattamento con mutageni, oppure sia prodotta con le tecniche del DNA ricombinante. Questo è un punto essenziale che deve essere ben chiaro per evitare di arrivare a conclusioni non corrette.

Il principale difetto che deriva dall’impiego di mutageni fisici e chimici è la non specificità della mutazione che si verifica casualmente in una serie ignota di geni. Anche quando si originano varianti commercialmente utili, è certo che nel processo si introducono anche mutazioni indesiderate. Proprio per questo motivo, anche se storicamente lo sviluppo di queste tecniche di mutagenesi è stato importante, è utile sviluppare tecniche alternative più mirate.

Le tecnologie del DNA ricombinante hanno offerto la logica soluzione del problema e rappresentano l’ultimo passo dell’uomo nel processo di domesticazione delle specie. Con la tecnologia del DNA ricombinante possiamo mutare un gene specifico, oppure trasferire da una specie ad un’altra geni che conferiscono resistenze ad agenti patogeni o a diserbanti, o perfino sviluppare varietà di piante che in grado di crescere in terreni aridi contribuendo a risolvere il problema della fame nel mondo. E possiamo creare organismi modello per studiare importanti malattie umane e mettere a punto approcci terapeutici. Queste sono le potenzialità e le promesse delle tecnologie del DNA ricombinante.

Spesso nella storia dell’umanità i progressi scientifici e tecnici hanno sollevato notevoli critiche. Basta pensare ai primi studi di anatomia sui cadaveri. Tuttavia mai come nel caso degli OGM si è verificata un’opposizione così importante i vasti settori dell’opinione pubblica. Come in ogni fenomeno sociale questa opposizione ha numerose spiegazioni.

La prima e’ che viviamo in una società dell’informazione. Grazie ai mass media, tutti abbiamo sentito parlare, purtroppo spesso in modo impreciso e confuso, degli OGM. Abbiamo la possibilità di comunicare con tutto il mondo tramite telefono, mail, social-media. Il risultato è che per la prima volta nella storia dell’umanità la scienza e le sue applicazioni sono oggetto di attenzione dei cittadini. Questo ha un’ovvia valenza democratica positiva. E’ altresì chiaro che esiste un serio problema di diffusione della conoscenza per evitare che le decisioni politiche vengano prese sulla base di influenze irrazionali controllate dalla Vanna Marchi di turno. O peggio ancora sulla base di teorie complottistiche improbabili che dipingono gli scienziati non come una componente della società civile ma come “servitori” degli interessi delle multinazionali americane.

Una seconda spiegazione ha le sue radici nella natura stessa del processo tecnico alla base dei OGM. Con la tecnologia del DNA ricombinante l’uomo ha raggiunto la capacità di modificare l’informazione della vita. Chi non è stato spaventato almeno una volta delle implicazioni di questa novità? Chi non ha mai pensato al mito romantico del Dr. Frankenstein e della sua “creatura”? La velocità del progresso scientifico e tecnologico è ormai tale da non permette quasi di riflettere e assimilare. Molti hanno la sensazione di essere inadeguati. E allora?

Nel prossimo futuro dovremmo rassegnarci a critiche e paure irrazionali. Fanno parte del normale processo di crescita. Il compito di chi più sa e’ di continuare ad informare con umiltà, onesta’ morale ed intellettuale. Anche quando tutto indurrebbe a prendere posizioni di rottura ed insofferenza. Abbiamo il dovere di coinvolgere tutti nel processo di sviluppo degli Ogm, magari favorendo agenzie governative che rappresentino un’alternativa al mondo industriale e del profitto.E discutere apertamente dei possibili rischi e delle soluzioni evitando trionfalismi o catastrofismi. Perché una cosa dovremmo aver imparato dalla nostra storia: il desiderio di conoscenza e di sviluppo tecnologico fa parte della nostra natura, e è alla base della civiltà.

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