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Apple si gioca la faccia davanti al Congresso Usa

Niente accoglienze d’onore. L’ad Tim Cook entrerà al Congresso per spiegare in un’audizione le motivazioni e le giustificazioni di Apple, accusata di elusione fiscale. Una stoccata che arriva alla casa di Cupertino dopo quelle già riservate ad altri colossi informatici come Google e Hp, ma che rischia di intaccare l’immagine del gruppo, dopo i dubbi degli analisti sul suo futuro. Mantenere il passo con l’innovazione e il mito creato dal fondatore Steve Jobs non sarà impresa facile per un manager che il peso del confronto schiaccia più della volatilità del titolo a Wall Street.

Le accuse

Apple ha usato una “rete complessa” di entità offshore, senza dipendenti o uffici fisici, per pagare meno o nessuna tassa sulle decine di miliardi di dollari che ha guadagnato all’estero. L’accusa è arrivata ieri da un’indagine del Senato degli Stati Uniti, proprio il giorno prima che l’amministratore delegato del colosso di Cupertino, Tim Cook entri al Congresso proprio per parlare di una proposta volta ad alleggerire il sistema fiscale.

Tra il 2009 e il 2012, come riporta il Washington Post citando l’indagine, la società fondata in California da Steve Jobs ha nascosto agli occhi del fisco americano 74 miliardi di dollari in profitti attraverso la creazione di filiali in Irlanda. Mentre tra le altre multinazionali la pratica di usare controllate estere per evitare le tasse negli Stati Uniti è molto comune, il sistema messo in piedi da Apple, sempre secondo il Senato, è senza precedenti per complessità e creatività.

L’audizione

Proprio oggi Cook testimonierà per la prima volta davanti al Senato: ha intenzione di difendere la sua posizione sostenendo che la società produttrice di iPad e iPhone non ha violato le leggi fiscali. Sempre oggi Cook presenterà una proposta per “semplificare in modo sostanziale” le leggi che regolano le tasse sulle aziende e così cercare di reindirizzare gli investimenti di capitali in America. “Si tratta di una scappatoia, tecnicamente è una strategia che può essere rispettosa delle regolamentazione a riguardo ma che viola lo spirito della legge stessa”, ha commentato al Financial Times Carl Levin, il democratico che condurrà l’audizione.

La replica di Cook secondo Cnbc

Apple è una “storia americana di successo” e non “uso trucchi fiscali”, affermerà Cook econdo quanto riporta la Cnbc. Del resto Apple si conferma il marchio che vale di più al mondo. Nonostante il balzo del 51%, Samsung, una delle maggiori rivali di Cupertino con le quali sono in corso battaglie legali in vari continenti, si piazza al trentesimo posto con un valore di brand di 21 miliardi di dollari, contro i 185,07 di Apple. E’ quanto emerge dalla classifica BrandZ Top 100 stilata da Millward Brown Optimor. Cook spiegherà inoltre che Apple ha creato o favorito la creazione di 600.000 posti di lavoro negli Stati Uniti, esprimendosi a favore di una riforma dell’imposizione fiscale negli Stati Uniti.

I casi irlandesi

Una delle filiali irlandesi, Apple Sales International, virtualmente è come se non avesse pagato tasse sulle vendite di 74 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2012. Nel 2011, ha versato 10 milioni di tasse su 22 miliardi di profitti, ad un tasso quindi dello 0,05%, secondo la Commissione. Un’altra unità senza domicilio fiscal Apple Operations International, non ha versato tasse in nessun Paese negli ultimi cinque anni, nonostante un reddito di 30 miliardi di dollari tra il 2009 e il 2012. Fondata nel 1980, AOI ha un board negli Usa senza avere una sede fisica o degli impiegati.

L’ultimo scandalo per Google

D’altra parte Apple è il terzo gigante tecnologico americano ad affrontare le indagini del Senato dopo Microsofr e Hewlett Packard. L’ex collaboratore della sezione britannica di Google è accusato dall’ex datore di lavoro di “amorale” evasione fiscale.
L’ex manager della compagnia, Barney Jones, è pronto a fornire oltre 100 000 mail a conferma che nel periodo durante il quale lavorava, dal 2002 al 2006, non vi era alcuno schema per evadere le tasse. Secondo quanto riportato da Jones, nell’arco degli ultimi dieci anni lo stato avrebbe ricevuto centinaia di migliaia di sterline in meno del dovuto. Nella sua intervista al Sunday Times ha anche aggiunto: “Le vere vittime di questo reato criminale sono i contribuenti britannici ingannati da Google”.

La regolamentazione irlandese

Nonostante la struttura commerciale di Google operi in Gran Bretagna e tratti con clienti inglesi, i contratti verrebbero tecnicamente conclusi con Google Irlanda. Il motivo? Mentre l’imposta britannica è del 23%, quella irlandese è la più bassa d’Europa, appena 12,5%, il che permetterebbe un extra-reddito a Google e costituirebbe, a conti fatti, un’evasione fiscale per il Regno Unito. Il procedimento è avviato: Google al momento si limita a dichiarare, sempre al Sunday Times, che l’azienda paga regolarmente le tasse inglesi ed è in linea con la legislazione tributaria vigente.

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