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Ecco come Papa Francesco ridurrà il potere della Curia romana

La lotta per il potere nella Chiesa non deve esistere, perché il vero potere è il potere del servizio”, ha detto stamattina Papa Francesco durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta, il residence dove ha scelto di abitare “almeno per un po’”.

Non è la prima volta che Bergoglio tocca questo tema: l’aveva già fatto il 19 marzo scorso, nell’omelia di inizio pontificato. “Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”, aveva detto allora.

Due anni di lotte intestine
Oggi ha aggiunto qualcosa in più, richiamando tutti alla necessità di evitare che la Chiesa sia dilaniata in lotte di potere capaci di corroderla dall’interno come fa un male incurabile. Un monito indirizzato soprattutto alle correnti della curia che negli ultimi due anni hanno assestato più di un colpo al pontificato di Benedetto XVI, finendo per destabilizzarlo e indebolirlo. Dal maggiordomo di camera Paolo Gabriele, che trafugava documenti riservati dall’appartamento papale diffondendoli ai media, ai corvi che fomentavano le divisioni nel governo della chiesa. Un quadro che ha costretto Joseph Ratzinger a costituire una commissione di tre cardinali incaricata di indagare sulle fughe di notizie e (soprattutto) sulle lotte intestine che si susseguivano all’ombra del cupolone.

L’inchiesta secretata
La gravità della situazione era tale che il Pontefice ora emerito aveva scelto per compiere le indagini porporati esterni alle logiche di potere vaticano: Julian Herranz, Salvatore De Giorgi e Jozef Tomko. Tutti e tre ultraottantenni e quindi esclusi dal Conclave chiamato a eleggere il successore di Benedetto. I risultati dell’inchiesta interna, contenuti in due faldoni, sono stati secretati e chiusi da Ratzinger in una cassaforte, che solo Francesco ha potuto aprire. Nessuno sa cosa ci sia scritto in quelle carte, e ben poco i tre membri della commissionate hanno divulgato durante le congregazioni generali pre-Conclave.

Lo scontro tra bertoniani e anti-bertoniani
Non è un segreto, però, che gli scontri siano iniziati con la scelta del Pontefice tedesco di chiamare al vertice della segreteria di Stato un cardinale estraneo alla carriera diplomatica che aveva sempre guidato la macchina curiale. Dopo i quasi vent’anni di Angelo Sodano, Ratzinger aveva scelto un salesiano, l’arcivescovo di Genova Tarcisio Bertone. Una mossa che l’ala formatasi all’Accademia ecclesiastica di piazza Minerva non ha mai digerito. Anche negli episcopati locali il malcontento per la gestione bertoniana era forte, tanto che qualche porporato aveva chiesto espressamente al Papa di sostituire il segretario di stato. Il cardinale di Colonia Joachim Meisner, fedelissimo di Ratzinger, ha confessato in un’intervista al Frankfurter Rundschau di essersi recato personalmente a Roma per suggerire al Pontefice di cambiare i vertici della segreteria di stato. “Lui mi ha guardato e mi ha risposto: ‘Ascoltami bene! Bertone rimane! Basta, basta, basta!”.

La lotta al carrierismo
Che qualcosa non vada in Curia, Francesco lo sa benissimo. Non ha mai amato quel mondo, da cardinale frequentava Roma il meno possibile. E il richiamo di oggi al “vero potere che è il servizio, come dimostra Cristo, venuto non a farsi servire, ma a servire” è un ulteriore indicazione che il dossier è presente sul tavolo del Pontefice e che verrà affrontato tra non molto tempo, probabilmente poco dopo il viaggio a Rio de Janeiro di luglio e comunque entro l’anno.

Il prossimo segretario di Stato
Ci sono da compiere le prime scelte, nominare i capidicastero e, soprattutto, il segretario di Stato. Tradizione vorrebbe che con un Papa straniero, il suo “primo ministro” fosse italiano. Tarcisio Bertone compirà 79 anni il prossimo dicembre, e probabilmente per quella data Francesco avrà già scelto il successore: favorito è l’attuale presidente del Governatorato, il diplomatico Giuseppe Bertello. Stimato e apprezzato non solo entro le mura leonine per serietà e competenza (è stato nunzio anche in Ruanda, Messico, e Italia), è molto ascoltato dal Pontefice argentino. Altri candidati forti sono il nunzio in Venezuela Pietro Parolin, il prefetto di Propaganda Fide, Fernando Filoni, e il nunzio a Parigi, Luigi Ventura.

Il programma di governo
Fino a oggi Francesco ha preferito dedicarsi alla predicazione, al dialogo con i fedeli. Ma l’agenda di governo prevede alcuni punti discussi e condivisi dai cardinali negli incontri precedenti il Conclave: ridimensionare l’apparato della governance, snellendolo il più possibile; ridefinire gli ambiti di competenza dei vari uffici; internazionalizzare la curia, rendendo partecipi del governo della chiesa le periferie più lontane. Il gruppo degli otto cardinali chiamati a consigliare il Papa è un’indicazione di ciò che Bergoglio ha in mente per il futuro della Chiesa, che lui vuole più povera e meno sensibile alle sirene del carrierismo, contro il quale si era scagliato prepotentemente Benedetto XVI nell’incontro con il clero romano del febbraio 2012.

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