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La bomba nascosta nel cuore dell’Europa

Per una curiosa coincidenza l’Ocse e il Fondo Monetario hanno dedicato la settimana scorsa un paio di paper al Belgio a pochi giorni di distanza. Tanta grazia merita un approfondimento, anche perché il piccolo Belgio, poco più di dieci milioni di abitanti per un Pil che pesa circa 380 miliardi, rappresenta il cuore politico e finanziario dell’eurozona.

Vi basti sapere che ospita tre fondamenti istituzioni finanziarie che reggono, tecnicamente, il circuito finanziario europeo. In Belgio risiede Euroclear, il sistema di clearing e settlement che ha movimentato 580 trilioni di euro di transazioni nel 2011. Ma anche la filiale europea della New York Mellon, la sesta banca nazionale, che custodisce 18 trilioni di euro di securities, gestiti proprio da Bruxelles. E infine in Belgio ha sede anche il sistema Swift, il sistema telematico che gestisce la massaggistica finanziaria (tipo i bonifici).

Ciò detto, diventa strategicamente opportuno vagliare lo stato di salute innanzitutto finanziario del Belgio, saggiare la sua capacità di tenuta agli shock, e via via valutare le criticità che il sistema Paese cova al suo interno, specie dopo il credit cruch che ha creato sconquassi rilevanti nel sistema bancario nazionale. Ed è proprio quello che fa il Fmi nel suo rapporto, che, non a caso, inizia proprio dall’esame del sistema bancario, che è “relativamente largo, concentrato e interconnesso col resto del mondo”.

Premessa. Il Belgio, come tutti i paesi dell’eurozona ha moltiplicato esponenzialmente gli asset bancari nei primi anni 2000. In sostanza ha pompato il credito/debito privato. Le banche hanno aumentato in modo rilevante l’esposizione sul mercato immobiliare e quella verso i paesi esteri. Col risultato che i prezzi  delle case sono aumentati, in termini reali, del 90 per cento dal 2000, e ancora crescono, mentre le banche hanno dovuto richiamare in patria centinaia di miliardi di euro di prestiti esteri.

Per dare un’idea di quanto si sia sviluppato il settore bancario, basti considerare che è passato dal 384% del Pil del 2000 al 470% del Pil nel 2007, quando è iniziato il deleveraging.

A metà del 2012 gli asset si erano ridotti “solo” al 310% del Pil, mentre quelli esteri, che pesavano il 300% del Pil nel 2008, si sono ridotti ad appena il 58%. A farne le spese sostanzialmente i paesi del sud Europa, gli ex Pigs ora Gipsi, dai quali son partiti deflussi che sono stati trasformati dalle banche in gran parte in titoli del debito sovrano belga.

Sono state necessarie grandi risorse pubbliche per stabilizzare il settore finanziario, come è accaduto dappertutto (tranne che in Italia finora), con la conseguenza che i conti pubblici sono ancora un po’ in sofferenza, sia sul lato del debito, sulla soglia del 100% del Pil (ma previsto in calo) e del deficit, nel 2012 ancora sopra il 3% del Pil.

Ma non è il settore pubblico che spaventa del Belgio. Vuoi perché è stato iniziato un percorso di consolidamento fiscale, vuoi perché va meglio di tanti altri. Quello che preoccupa è il saldo del conto corrente, negativo anche nel 2012, l’andamento delle esportazioni, fortemente rallentate, il lento erodersi della posizione patrimoniale netta positiva. Ma soprattutto l’andamento del settore privato, finanziario e non finanziario.

Delle banche abbiamo già detto. Sono dimagrite, a suon di soldi pubblici, e si sono focalizzate sul mercato interno. Il che ha comportato che i loro portafogli si siano riempiti di titoli di stato. Ma quello che fa tremare le vene dei polsi è l’esposizione nei confronti dell’immobiliare. Dal 2000 al 2012 è passata da poco più del 40% del totale dei prestiti a quasi il 60%. Tutto ciò a fronte di debiti totali del sistema bancario che superano stabilmente i 1.000 miliardi.

Come se non bastasse, questa mole di crediti concessi ha notevolmente peggiorato la situazione debitoria delle aziende non finanziarie, che ormai sono seconde solo all’Irlanda per quantità di debito, ben oltre il 150% del Pil. Mentre le famiglie sono ormai al 90% di debiti sul reddito, “ancora a un livello basso rispetto all media europea”, nota il Fmi, ma comunque preoccupante, perché circa il 20% di queste famiglie spende il 50% del loro reddito per pagare gli interessi sul mutuo contratto negli anni d’oro.

Il problema si porrà se e quando il mercato immobiliare dovesse rallentare. Il Belgio, infatti, è uno dei pochi paesi dove i prezzi reali del mattone sono saliti anche fra il 2006 e il 2012 di quasi il 20% (gli altri sono l’Austria, la Germania, la Svezia e, in piccola parte, la Francia). E il Fondo teme che tale crescita non sia sostenibile. Il mattone, insomma, potrebbe far rientrare dalla finestra la crisi del credito scacciata dalla porta principale, ossia dall’esposizione estera.

Quest’ultima, per quanto notevolmente ridotta nei confronti dei Gipsi, è ancora importante nei paesi emergenti dell’Ue. Ma soprattutto le banche belghe sono particolari sensibili a shock importati dai paesi vicini, Olanda e Germania in testa, proprio in virtù della profonda interconnessione del sistema bancario belga con quello dei paesi core dell’eurozona (basti considerare che la metà circa degli asset in pancia alle banche belghe sono di proprietà estera) e con quelli anglo-americano. Una simulazione mostra che problemi alle banche inglesi e americane avrebbero effetti devastanti sul Belgio.

Le questioni finanziarie si aggravano se si guarda agli altri fondamentali. La perdita di competitività sofferta dal Belgio, accoppiata a una crescita robusta del costo del lavoro ha ridotto notevolmente i saldi commerciali, con la conseguenza che la crescita del Pil è rallentata.

Le previsioni base parlano di una crescita di poco superiore all’1% fino al 2017. Sempre che non si verifichino scenari avversi. Se si dovesse verificare una doppia recessione nell’eurozona, il Pil sarebbe negativo per quest’anno e il prossimo, mentre nel caso di scenario con crescita lenta sarebbe di poco superiore allo zero. In entrambi i casi, tutta l’architettura economica belga scricchiolerebbe pericolosamente, con disoccupazione in crescita fino al 10% a fronte dell’attuale 7,8%.

Insomma: il Belgio è una bomba innescata nel cuore dell’eurozona.

E la miccia sta all’estero.

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