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Com’è lo stato dei diritti globali

Ambiente e beni comuni, welfare e lavoro, carceri e giustizia, tutela dei diritti umani. Tematiche separate e allo stesso tempo legate che l’undicesima edizione de Rapporto sui diritti globali tiene assieme per dare una visione completa del “mondo al tempo dell’austerity”, come recita il sottotitolo.

Il volume curato dall’Associazione Società Informazione e promosso dalla Cgil è stato presentato oggi a Roma nella sede del sindacato di Corso d’Italia. È un lavoro ampio e dettagliato.

Oltre mille pagine di dati, fatti e analisi, schede tematiche, sitografia, bibliografia che per gli autori devono essere sia un termometro della situazione attuale sia un piano d’azione per agire.

Proprio il confronto tra le dimensioni di quest’ultimo volume e quello di undici anni fa spiegano fisicamente che la situazione non è migliorata.

Le misure di austerità imposte con “apparente asetticità” dalla Troika stanno aggravando la crisi, è l’opinione condiva dalle organizzazioni che hanno collaborato alla stesura. Lo dicono con le frasi del segretario generale dell’International Trade Union Confederation, Sharan Burrow, che individua la logica nella cura proposta contro la crisi nella “storica e finale resa dei conti con il modello sociale che ha contraddistinto a lungo l’Europa, garantendo i diritti del lavoro e della fasce più deboli della popolazione”.

Un dato citato in conferenza stampa dal presidente onorario di Antigone, Mauro Palma, dà il senso del legame tra crisi e mancata tutela dei diritti. Prima del 2008 l’Italia, spesso finita all’attenzione della Corte europea di Strasburgo per la lunghezza dei processi, non aveva tuttavia mai subito condanne per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’Uomo, quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, salvo un’indagine per una mancata inchiesta per una denuncia.

Negli ultimi cinque anni le condanne sono state invece 17 per le condizioni nelle carceri e la detenzione dei migranti. “Nella privazione della libertà si assiste al precipitare della crisi”, ha sottolineato Palma.

Al riguardo la portavoce di Sbilanciamoci, Grazia Naletto, ha ricordato un recente studio dell’associazione Lunaria sulle spesa pubblica per finanziare le politiche di contrasto all’immigrazione clandestina.

Tra il 2005 e il 2012 le politiche di “rifiuto” sono costate almeno 1,6 miliardi di euro, sia in risorse nazionali sia comunitarie, per il controllo delle frontiere, per lo sviluppo di sistemi di sorveglianza e identificazione, la gestione del sistema dei centri di accoglienza per gli irregolari e per i rapporti con Paesi terzi nel contrasto al fenomeno.

I risultati, senza contare le ripercussioni sul piano della tutela dei diritti, non sempre corrispondono agli obiettivi politici fissati e alla propaganda. A esempio il numero dei migranti transitati per i Cie, un’istituzione che non pochi dubbi a sollevato sul piano del diritto, ed effettivamente rimpatriati sono stati appena il 46 per cento del totale.

La critica degli autori non è all’economia in sé, che come ha sottolineato Marco De Ponte di ActionAid Italia, non è né bella né brutta. Il bersaglio è quel numero sempre ristretto di persone e agglomerati che dell’economia hanno il controllo.

Nel corso dell’incontro è stata spesso citata la lotta di classe. Non nel senso tradizionale ma declinandola con le parole del finanziere Warren Buffet: “La lotta di classe esiste, ma è la mia classe, i ricchi, che la sta combattendo e la sta vincendo”.Una vittoria conquistata anche per demerito della politica che ha abdicato al proprio ruolo di guida.

Un passo indietro che si evince a esempio dal crescere di una sinistra sociale che tuttavia non riesce a trovare sponda in una sinistra politica. A dirlo e Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci e deputato del Partito democratico che riconosce la crisi della democrazia e della politica, emersa anche dall’ultima tornata di elezioni locali.

Occorre “riappropriarsi dell’idea di democrazia” partendo dalla partecipazione a livello locale, ha spiegato invece De Ponte. Un primo passo proposto è l’accesso agli open data, così da formare almeno cittadini consapevoli. A questo serve anche il rapporto, almeno nelle intenzioni degli autori, non soltanto come denuncia e difesa, ma per dare una nuova spinta propulsiva a tutela dei diritti.

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