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Scandalo controlli telefonici in Usa? In Europa è persino peggio

Leggo con un certo stupore le notizie di queste ore da oltreoceano. In prima pagina, i giornali di tutto il mondo danno conto del fatto che una corte degli Stati Uniti, la Foreign Intelligence Surveillance Court, avrebbe dato ordini di conservazione preventiva dei dati di traffico telefonico e telematico (non dei contenuti delle conversazioni) agli operatori delle comunicazioni americani. La corte in questione, che è “segreta” non nel senso di “fuori dall’ordinamento e dalla legittimità costituzionale” ma nel senso che esercita a porte chiuse per ovvie ragioni di cautela, è un organismo risalente al 1978 con poteri più estesi dopo l’11 settembre 2001 e ha, tra l’altro, la funzione di dare il via libera, o meno, alle richieste di controlli preventivi fatte dalla National Security Agency. Tutti scandalizzati, oggi. Tuttavia, rischiamo di essere così suscettibili per la pagliuzza (o pagliona) nell’occhio statunitense, senza vedere le nostre travi europee, nelle stesse identiche materie.

Per esempio: in Europa abbiamo da sette anni una Direttiva, la 2006/24/CE, recepita in Italia all’articolo 132 del Codice Privacy (il che fa sorridere, visto che è una norma, se vogliamo, anti-privacy), che impone a tutti i fornitori di servizi di comunicazione (tutti, sempre, a priori, senza nemmeno bisogno di un preventivo vaglio di una Corte o di un qualsivoglia fumus di crimine) la conservazione per scopi di accertamento e repressione dei reati dei dati di traffico telematico (per 12 mesi) e telefonico (per 24 mesi). Quindi, altro che USA: anche in UE si tengono i numeri chiamanti e chiamati, gli indirizzi mittenti e destinatari, le date e le ore, ecc. e sempre per gli stessi fini anti-crimine (persino più estesi, perché le nostre norme non si applicano solo per difendersi da terrorismo o spionaggio internazionale). Per dovere di cronaca, tuttavia, segnalo che Paesi come la Germania e la Repubblica Ceca sono fra gli Stati UE a non avere accettato serenamente quella Direttiva del 2006 e le relative norme nazionali d’attuazione, che infatti le rispettive Corti Costituzionali hanno sonoramente bocciato in questi anni proprio per contrasto con i diritti fondamentali di libertà e privacy degli individui.

Ma oggi voglio essere anche più insidioso, nella divulgazione e nella riflessione sul tema del controllo generalizzato telefonico e telematico. Per esempio: lo sapete che in Italia è possibile, per il Ministro dell’interno o, su sua delega, per i responsabili dei servizi centrali di polizia contro la criminalità organizzata, nonché ogni questore o comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, procedere a intercettazioni telefoniche e telematiche – pure dei contenuti delle conversazioni – in via preventiva e per contrasto a gravi reati anche eversivi, senza bisogno di passare dall’autorizzazione del GIP ma solo con il placet (ovviamente ben più facile da ottenere, trattandosi di soggetto inquirente) del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione? Già, è l’articolo 226 delle disposizioni di attuazione del nostro Codice di Procedura Penale. Si intitola, non a caso, “Intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni”. Certamente, si dirà, quelle conversazioni poi non possono essere utilizzate come prove nel processo penale: ma intanto, dico io, la “pesca a strascico” nelle comunicazioni private dei cittadini si verifica anche in assenza di notizia di reato e di tutte le normali garanzie che il Codice prevede, invece, per le intercettazioni giudiziarie vere e proprie.

Non dico che sia una normativa sbagliata, e la riflessione da fare è anzi complessa: questi controlli tutelano la nostra sicurezza e legalità, beni non da poco, dobbiamo meditare senza distrarci mai. In Europa se ne parla e si sta lavorando ad una revisione della Direttiva 2006/24/CE, per esempio. Comunque, per una volta, mi sento di rassicurare i nostri cugini americani: il Vecchio Continente, così attento alla privacy, non fa notizia ma registra, ascolta, annota tanto quanto, forse più di loro.

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