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Il flop del vertice tra Obama e Xi

Il vertice informale tra Barack Obama è Xi Jinping “è stato un flop”. Come da previsioni, ha spiegato Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia, in una conversazione con Formiche.net all’indomani della conclusione della due giorni californiana nella tenuta di Sunnylands tra il presidente statunitense e il suo omologo cinese.

Il rapporto tra cinesi e occidentali

“Gli occidentali in generale non sanno cosa farsene delle chiacchiere. I cappelli da cowboy (come quello indossato da Deng Xiaoping nel 1979, ndr), il presentarsi senza cravatta, i brindisi e gli abbracci non servono. I cinesi parlano ma poi quando passano ai fatti si comportano in maniera differente da ciò che dicono. Gli occidentali hanno imparato a non fidarsi”, ha detto Forchielli secondo cui nell’agenda del vertice “non c’era granché”.

I temi 

Il tema delle sicurezza informatica, su cui si è concentrata gran parte dell’attenzione, è rimasto aperto; la questione del renminbi, la moneta cinese, non è stata presente; la dichiarazione sui cambiamenti climatici letta come un volere dire “sì sì, facciamo qualcosa”, ma senza veri contenuti.

Un’operazione d’immagine

Secondo il presidente di Osservatorio Asia, si è trattato più che altro di un’operazione d’immagine di Xi Jinping rivolta al pubblico cinese, montata per motivi interni. Lo dimostra il basso profilo mediatico che l’appuntamento ha avuto sulla stampa statunitense. “C’è stata anche l’assenza di Michelle Obama che ha tolto al vertice il fascino delle first lady. Inoltre i colloqui si sono svolti lontano da tutto e Xi non ha potuto incontrare nessuno”.

L’esplodere delle scandalo Prism e della sorveglianza di massa dell’Agenzia nazionale per la sicurezza hanno ulteriormente spostato l’interesse degli statunitensi dai colloqui e dalle passeggiate in maniche di camicia dei due leader.

Lo scontro sulla sicurezza informatica

Alla vigilia dell’incontro commentatori come Pepe Escobar dell’Asia Times hanno parlato della sicurezza informatica come del nuovo appiglio per scontrarsi con Pechino, andato sostituendosi alle polemiche sul valore dello yuan. “L’apprezzamento del renminbi c’è stato” sottolinea Forchielli. E le critiche statunitensi sono quindi scemate.

Il vero nodo è il furto di tecnologia e della proprietà intellettuale. “Nessuno si fida più dei cinesi. Gli europei hanno aperto procedimenti contro il colosso tecnologico Huawei anche più duri di quelli statunitensi. Le aziende che vanno in Cina portano con loro il minimo di tecnologia necessaria. La protezione informatica è diventata prioritaria”.

La crisi nordcoreana

Per quanto riguarda la crisi nordcoreana, con Washington e Pechino che sembrano essere d’accordo sulla denuclearizzazione della penisola, Forchielli parla di un problema cinese. Le provocazioni di Pyongyang sono un modo per attirare l’attenzione statunitense e cercare di tenere le distanze dalla Repubblica popolare. Per anni ha respinto il modello cinese per evitare di essere risucchiata come accaduto a Macao, Hong Kong e Taiwan, Nessuno tuttavia vuole trovarsi a gestire il problema.

Le riforme economiche

L’ultimo accenno è alle riforme economiche di cui nelle scorse settimane sono state diffuse le linee guida. La stampa, soprattutto occidentale, si è concentrata nel capire in che direzione andranno e se ci sarà un minore peso dello Stato. Al momento è tutto ancora poca chiaro, sottolinea Forchielli. Per poterci ragionare occorrerà aspettare il terzo plenum del comitato centrale del Partito comunista in autunno, dal quale uscirà la nuova politica economica. Per adesso però, rispetto al 2009, Forchielli vede passi indietro.

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