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Ecco cosa unisce Turchia e Siria

Pubblichiamo un articolo del dossier “Svolta Iran, Eurozona, Missioni Italia, F35” di Affari Internazionali

Mentre i media internazionali stanno puntando i riflettori su Piazza Taksim e sulle sommosse di Istanbul, dando ormai per sconfitto il primo ministro Erdogan, in Siria la situazione pare volgere, dopo due anni di guerra civile, a favore del presidente Assad. Per quanto apparentemente separati, i due scenari sono strettamente interdipendenti.

La posizione turca sulle “primavere arabe” ha segnato una chiara svolta nella politica estera di Ankara e dell’intero establishment dell’Akp. L’appoggio garantito alla rivolta siriana, al consiglio dei ribelli (Cns) e al governo provvisorio che ne era sorto avevano portato alla recente elezione di Ghassan Hitto, avvenuta proprio ad Istanbul il 18 marzo scorso.

Postkemalismo

Nell’idea del governo turco era palese lo scopo di sostenere sul piano logistico le forze ribelli nelle regioni dove l’esercito regolare siriano aveva perduto il controllo, al fine di frammentare il paese e costringere Assad alla resa, seguendo un atteggiamento analogo a quello francese durante la guerra in Libia che portò alla cattura di Gheddafi.

Il meccanismo si è però inceppato. Innanzitutto, l’improvviso raid di Israele su Damasco del 5 maggio scorso ha immediatamente cambiato la percezione della rivolta nel mondo islamico: la Lega araba, spesso critica nei confronti di Assad e propensa ad un’operazione di peacekeeping, e il presidente egiziano Mohammed Morsi, espressione della Fratellanza musulmana, hanno condannato il bombardamento in un coro unanime coi “rivali” sciiti dell’Iran e di Hezbollah.

Pochi giorni fa, inoltre, è arrivato l’avvertimento di Mosca che, per voce del presidente Putin, ha intimato all’Occidente di evitare qualsiasi intervento militare in Siria, ribadendo l’inviolabilità della base navale di Tartous e proponendo l’invio di forze speciali russe sulle alture del Golan per sostituire i reparti austriaci di stanza nell’area.

Lo stallo siriano potrebbe così segnare per Ankara la fine del piano di profondità strategica sul quale il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu aveva investito moltissimi anni di ricerca universitaria e quattro anni di carriera politica governativa. L’opera forse più significativa di Davutoğlu, pubblicata nel 2001 ed intitolata Stratejik Derinlik. Turkiye’nin Uluslararasi Konumu è diventata negli ultimi anni una pietra angolare ineludibile per capire la politica estera del governo turco.

Impropriamente e riduttivamente definitiva con l’appellativo di “neo-ottomana”, in realtà l’idea postkemalista che ha mosso le principali iniziative strategiche di Ankara era quella di integrare il paese nel nuovo contesto internazionale in una posizione di maggior prestigio.

Leggi qui l’articolo completo

Andrea Fais, giornalista e saggista, è collaboratore del quotidiano cinese “Global Times” e della rivista multimediale “Equilibri”, autore del libro L’Aquila della Steppa. Volti e Prospettive del Kazakistan (Parma, 2012) e coautore del Risveglio del Drago. Politica e Strategie della Rinascita Cinese (Parma, 2011) e La Grande Muraglia. Pensiero Politico, Territorio e Strategia della Cina Popolare (Cavriago, 2012).

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