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Draghi, Bernanke e la bolla sui mercati (che non c’è)

Le Borse rimbalzano. La stretta al programma di acquisto di titoli da parte della Fed statunitense e il congelamento delle iniezioni di liquidità della PBoC (People’s Bank of China) hanno posto improvvisamente il mondo della finanza davanti alla realtà: l’ondata di liquidità, che ha innalzato il livello di rischio che si è pronti ad addossarsi, non può durare per sempre. Si parla di exit strategy ma, pur morbida che sia, l’happy ending qui non esiste.

Il rischio “bolle”

Ma c’è davvero il pericolo dello scoppio di una bolla sui mercati? Ad essere paragonati alla Lehman Brothers americana che ha fatto crollare i castelli di carta americani nel 2007 sono oggi gli istituti di credito cinesi. E non solo. A tremare per la scarsa capitalizzazione dei colossi del credito più in vista è anche la City di Londra. Secondo Michele Bagella, docente di economia monetaria e dei sistemi finanziari all’Università di Tor Vergata, il cui ultimo lavoro è il saggio “La Varicella Sociale del XXI secolo”, “i mercati sono nervosi e scontano il fatto che la Fed possa dare corso ad una riduzione della liquidità nel sistema economico statunitense. Ma, per il momento, sembra improbabile che questo possa accadere nel corso del prossimo anno. Del resto, non ci sono segnali di risveglio dell’inflazione. L’idea della stretta monetaria che agita tanto i mercati quindi non è un evento che può manifestarsi subito”, spiega in una conversazione con Formiche.net.

Fed e Bce

E, secondo l’economista, nel breve periodo “non c’è neanche il pericolo che aumentino i tassi d’interesse con ripercussioni negative sulla domanda interna, anche se la condizione europea resta difficile e in condizioni più critiche rispetto agli Stati Uniti. Ma il pericolo di una stretta monetaria immediata non c’è, e tantomeno si richiede alla Bce si seguire la Fed invertendo la rotta e alzando i tassi”.

Le rassicurazioni dell’Eurotower

Non a caso, la rimozione delle misure anticrisi nel Vecchio Continente è lontana, ha garantito oggi il governatore della Bce Mario Draghi. “L’uscita dalla posizione accomodante è ancora distante, in quanto l’inflazione è bassa e la disoccupazione è alta”. Posizione ribadita anche da uno degli esponenti del Comitato esecutivo della Bce, il francese Benoit Coeuré. Una inversione di rotta “non sarebbe giustificata nel contesto economico attuale”, ha detto.

La Cina e i Brics

“Che ci sia una situazione in cui gli intermediari finanziari si trovano in difficoltà – sottolinea Bagella – fa parte del normale andamento economico. E neanche in Cina, dove comunque il costo del lavoro tende ad aumentare, c’è una situazione di tale difficoltà da richiedere un intervento restrittivo serio”. Resta il fatto che la Cina, il Brasile e gli altri Brics (Brasile, Russia, India e Cina) “soffrono dal punto di vista della crescita, che non registra più i tassi elevati sperimentati negli scorsi anni”. La causa? “Il rallentamento dell’export nelle aree avanzate oggi in crisi”.

Lo spread e i titoli dei Paesi dell’eurozona a tripla A

Ma le vendite non hanno colpito solo i titoli della periferia dell’Eurozona. Sono stati ceduti anche i titoli dei Paesi a tripla A (come Germania, Olanda, Austria e Finlandia) e quelli della Francia (che non ha la tripla A ma al momento fa parte del club dei Paesi “core”). Per Bagella “è una questione che riguarda le relazioni che intercorrono tra Usa e Germania”, uno dei principali esportatori in America.

La linea di Draghi

C’è chi sostiene che se si continua di questo passo, ovvero se vengono venduti i bond del “Nord Europa” quanto o più che proporzionalmente (come avvenuto la scorsa settimana) rispetto a quelli del “Sud Europa”, lo spread potrebbe diventare un parametro falsante, depotenziato. “Lo spread – evidenzia Bagella – è un indice di fiducia che dice come la pensano i mercati rispetto ad un titolo. L’atteggiamento, anche verso i titoli di Stato italiani, resta prudente grazie alla Bce. Il governatore della Bce Mario Draghi ha più volte ribadito che farà tutto il necessario per salvare l’euro, e la linea a Francoforte resta quella, nonostante la Bundesbank”, conclude Bagella.

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