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Corriere della Sera, Repubblica e l’Italia davvero spiata?

Complice o vittima? Qual è il ruolo giocato dall’Italia nella vicenda Datagate? Le rivelazioni dell’ultimo fine settimana aprono scenari contrastanti. Se da un lato si è scoperto che il nostro Paese potrebbe aver rappresentato un bersaglio, insieme ad altri Paesi europei, di atti di spionaggio ad opera dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, dall’altro in seguito a un articolo pubblicato dal Guardian si è diffusa l’eventualità che i nostri due Servizi, Aisi e Aise, abbiano stretto accordi segreti con Cia, Fbi per il passaggio di dati personali alla National Security Agency (Nsa).

Ma come e quando sarebbe avvenuto lo scambio dei dati?
Il Corriere della Sera avanza un’ipotesi: “La falla può essersi aperta grazie agli accordi bilaterali siglati dall’intelligence nella lotta al terrorismo. È il sistema più semplice, probabilmente anche più sicuro, per il passaggio di informazioni riservate sui cittadini italiani e sulle loro comunicazioni telefoniche e informatiche”, scrive sull’edizione odierna Fiorenza Sarzanini.

Le puntualiazzazioni di Repubblica
Riportando i dati di fonti qualificate dell’Aisi il quotidiano diretto da Ezio Mauro va invece sul concreto: “Si parla di un flusso informativo che per gli Stati uniti raggiunge in entrata e in uscita, e dunque da Roma verso Washington e viceversa, poco meno di un centinaio di report al mese”, scrive Carlo Bonini. Oltre a specificare che lo scambio di informazioni con gli Usa avviene unicamente in nome della sicurezza nazionale e che nel caso italiano non è avvenuta “nessuna consegna di dati che attengono alla privacy dei singoli cittadini”, le precisazioni su Repubblica sono d’obbligo: “In ogni caso – afferma la fonte citata da Repubblica – sempre e comunque su questioni attinenti la minaccia terroristica e criminale agli interessi dei due Paesi. Perché quello è e resta il dolo mercato delle notizie a cui partecipiamo”.

I suggerimenti del Corriere della Sera
Malgrado la smentita dell’Italia alle dichiarazioni rilasciate al Guardian dalla nuova “talpa” del Datagate, Wayne Madsen, fosse giunta puntuale, escludendo che il passaggio di informazioni agli Usa possa essere accaduto “in maniera generalizzata” e fuori dalle misure previste della legge, qualche dubbio continua a circolare. Spulciando il Corriere della Sera si scopre che “In realtà andando oltre l’ufficialità, lo scambio con gli 007 statunitensi è costante perché esistono svariati modi per aggirare gli ostacoli legislativi oppure utilizzando le pieghe delle norme esistenti”.

E per la giornalista difficilmente il comitato parlamentare di controllo sull’attività degli apparati di sicurezza che si riunirà nei prossimi giorni consentirà di confermare i sospetti circa una collaborazione del nostro Paese oltre i limiti stabiliti dalla legge. “Ma certamente potrà evidenziare quei punti deboli che rischiano di vanificare i divieti”. Uno di questi viene individuato dal Corriere nel decreto firmato dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti il 24 gennaio scorso: “Il provvedimento consente all’intelligence di firmare convenzioni per accedere alle banche dati di società private che operano in concessione ‘nei settori nevralgici dell’energia, dei trasporti, della salute, del credito bancario, delle telecomunicazioni'”.

Il problema? “Il rispetto di queste direttive, – scrive Sarzanini – perché il rischio evidente è che in realtà proprio l’attività di prevenzione possa servire poi a giustificare la cessione di informazioni riservate”.

Nell’elenco di chi ha già firmato ci sono società come Telecom, Finmeccanica, Agenzia delle Entrate, Enel, Eni, Alitalia, Ferrovie dello Stato, Poste. Aziende hanno ben chiare le nostre abitudini, i nostri consumi, spostamenti, ecc. Il Corriere sottolinea che perplessità sul decreto sono state espresse anche dal Garante della privacy Antonello Soro ma al momento non trovano sponda a livello governativo.

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