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Petrolio offshore, nuove regole e prossime sfide

Attenzione alla tutela ambientale, maggiore chiarezza di regole, più coinvolgimento delle popolazioni locali, analisi costi-benefici, senza dimenticare la dimensione internazionale. Questi i principali motivi che hanno spinto la commissione Ambiente di Palazzo Madama ad avviare una serie di audizioni per approfondire, ed eventualmente riscrivere, i comportamenti del nostro Paese sulle ‘problematiche ambientali connesse alla prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi in mare, con particolare riferimento alle conseguenze sulle coste nazionali’.

Si tratta, ha spiegato il presidente della commissione Giuseppe Marinello in una conversazione a margine della prima seduta, di “un’indagine preliminare che servirà a dare ordine alla vicenda legata alle perforazioni petrolifere off-shore. Sentiremo tutti i soggetti coinvolti, dal turismo alla pesca al settore petrolifero”. Alla fine “di questo percorso, in una ventina di giorni, arriveremo all’elaborazione di una risoluzione in commissione che potrà andare in Aula”, anche nella veste di “mozione” per impegnare il governo.

La mozione

Del resto a fine giugno una mozione era stata già presentata al Senato, curata proprio da Marinello (in concomitanza ce n’era stata anche un’altra, del M5s su Ombrina a Chieti). In quell’occasione, il senatore del Pdl, aveva messo a fuoco otto punti, su cui chiedeva al governo di prendere una posizione. Tra questi, alcuni aspetti assumono una rilevante importanza alla luce della tutela ambientale e degli impatti sulle popolazioni che vivono sulle coste vicino alle piattaforme: “Rivedere la disciplina” – introdotta dall’art. 35 del decreto Sviluppo dell’ex ministro Corrado Passera (n.83 del 2012, legge n.134) – che “consente di recuperare le vecchie istanze di perforazione dei fondali marini; ‘stabilire in maniera univoca che il parere degli enti locali sulle installazioni sia acquisito e vagliato nell’ambito del procedimento Valutazione di impatto ambientale (Via)”; e per esempio “reperire le risorse per finanziare le attività di decomissioning delle piattaforme”, oppure “innalzare le royalties sulle attività estrattive e sulle concessioni di coltivazioni in mare” per le compagnie petrolifere; ed ancora coinvolgere l’Istituto nazionale di geologia e vulcanologia (Ingv) e il Cnr nelle fasi di istruttoria.

L’audizione di Lagambiente

La prima audizione è toccata a Legambiente, che al petrolio offshore ha dedicato diversi report. Il vicepresidente dell’associazione, Stefano Ciafani, ha subito messo in chiaro che “un rilancio delle attività estrattive in Italia sarebbe inutile”. Principalmente perché – ha proseguito – ”secondo le stime del ministero dello Sviluppo economico nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe” che, ”stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. E anche attingendo al petrolio nel sottosuolo il totale delle riserve certe verrebbe consumato in 13 mesi”. Nel 2011 – ha rilevato Ciafani – ”in  Italia sono stati estratti 5,3 milioni di tonnellate di petrolio, di cui 640 mila tonnellate dai fondali marini delle piattaforme marine di estrazione attive in Adriatico e Canale di Sicilia”. Secondo il vicepresidente di Legambiente ”i numeri sono destinati ad aumentare” guardando alla Strategia energetica nazionale (Sen): le cinque zone a maggior potenziale sono considerate la Valle Padana, l’Alto Adriatico, l’Abruzzo, la Basilicata e il Canale di Sicilia. Tenendo in considerazione soltanto il petrolio offshore – ha ricordato Legambiente – “in base alle istanze di ricerca, prospezione e coltivazione in corso di valutazione e autorizzazione, si rischia la realizzazione di almeno 70 piattaforme di estrazione di petrolio per un totale di 29.700 kmq”. Poi, anche Ciafani ha tenuto a ricordare il decreto Sviluppo, in particolare chiedendo ”l’abrogazione” dell’art.35, mantenendo però “il meccanismo di finanziamento delle attività di sorveglianza e pronto intervento ambientale”.

Gli interrogativi di Marinello

Il senatore del Pdl Marinello non ha nascosto anche l’idea, o quantomeno l’ipotesi, che la risoluzione prodotta dalla commissione possa avere poi uno sbocco legislativo, magari potrebbe esser inserita in un ddl “non appena si parlerà di energia, piuttosto che di sistemi industriali o di liberalizzazioni”. I numeri sulle riserve di petrolio fanno sì che Marinello si ponga un interrogativo, e cioè se non sia il caso di fare ”un’analisi più accurata dei costi e dei benefici” dell’operazione, anche perché “la qualità degli idrocarburi è ritenuta scadente, cosa che comporta un aumento delle lavorazioni che il prodotto deve subire con maggiori impatti economici ed ambientali”. E, naturalmente, non va dimenticata la posizione del nostro Paese, in mezzo nel Mediterraneo. Il che significa che se anche noi non dovessimo far nulla non è detto che dall’altra parte del canale di Sicilia la pensino allo stesso modo (vedi Libia, Tunisia, Marocco, Algeria). “La questione è aperta – ha osservato Marinello – è necessaria una comune strategia con tutti gli altri Paesi del Mediterraneo, per una severissima regolazione dello sfruttamento dei giacimenti sottomarini di idrocarburi liquidi su tutto il bacino”.

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