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Il ruolo degli Stati Uniti in Egitto

Non si comprende quello che avviene in Medio Oriente limitandosi alle sole dinamiche nazionali (il ruolo dei militari in Egitto, dei ceti medi a Istanbul, dei russi in Siria). Vi è una logica “regionale” nel decisivo contesto dei singoli avvenimenti. Le etnie principali spesso millenarie hanno dal 1200 assetti più definiti con tre principali soggetti: arabi, persiani e popoli asiatici (prima i mongoli che hanno chiuso la fase più brillante della civilizzazione islamica e infine la lunga egemonia ottomana).

Dal 1800 in poi pesano sempre più le nazioni europee ma senza alterare il quadro di fondo dentro il quale si innescano diverse variabili: le tendenze religiose (innanzi tutto le divisioni tra sciiti e sunniti), quelle istituzionali (con un ruolo dei militari di netta origine turca: dai mammelucchi ai giannizzeri sino alla rivoluzione ataturkiana modello per gli ufficiali laici del Novecento dall’Egitto, all’Irak al Pakistan) e così via. E’ questo quadro che spiega perché fazioni estremistiche, dai talebani ai salafiti, assumono atteggiamenti più – relativamente moderati – grazie all’influenza dei sauditi.

Perché i turchi hanno fatto pace con i curdi. Perché vi è stato un improvviso e inconsueto avvicendamento dinastico in Qatar. Perché gli ayatollah hanno consentito/organizzato una svolta apparentemente (molto apparentemente) moderata. Le varie dinamiche interagiscono in modo formidabile tra loro e con un ruolo delle opinioni pubbliche inferiore a quello descritto in Occidente.

Alla fine pare di leggere dalle primavere arabe in poi un tentativo di stabilizzazione americano fondato sull’asse islamisti moderati turchi e fratelli musulmani rivolto a diminuire l’influenza saudita (magari con qualche alleanza di troppo con i francesi) e privo di una risposta al ruolo internazionale dell’Iran. Un tentativo che nasce probabilmente anche dalla prossima autonomia energetica degli Stati Uniti che rende certi Stati meno economicamente strategici. Ma questi ultimi sono ancora politicamente assai influenti. Il che rimanda alla vecchia battuta di Lindon B. Johnson sui politici che non sanno camminare e masticare chewingum insieme. E che se conquistano la Casa Bianca – aggiungiamo noi – sono guai per tutti.

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