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Egitto, perché sarà difficile uscire dalla gabbia dell’esercito

La transizione dell’Egitto verso un nuovo governo sembra più difficile del previsto. Sfumata l’ipotesi di El Baradei come nuovo premier ad interim, per le strade impazza la violenza tra i sostenitori del presidente deposto Mohammed Morsi e i movimentisti di Tamarod.

A controllare la situazione l’esercito, che allo stato attuale sembra l’unica istituzione capace di mantenere l’ordine nel Paese.

Un caos del quale è difficile prevedere gli esiti per Daniele Raineri, scrittore e giornalista del Foglio esperto di Medio Oriente, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché, contrariamente alla vulgata di molti media, non bisogna esitare a definire quello egiziano “un golpe militare”.

Raineri, l’Egitto è piombato nel caos. Chi sono i veri vincitori, dopo il rovesciamento del governo?
Senz’altro possiamo dire chi non ha vinto: la piazza.

Non sono riusciti nel loro obiettivo?
Diciamo che in Egitto esistono due blocchi, quello dei Fratelli Musulmani e l’esercito. E un terzo blocco, un blocco “d’aria” che non riesce ad esistere, quello di Tamarrod. Anche con Mubarak la piazza era riuscita a costituire una massa critica tale da rovesciare il governo, ma poi si è perso. La verità è che non sarebbe mai riuscito nel risultato senza l’appoggio dei militari.

Eppure qualcuno ha definito questo come un “golpe di velluto”.
Che è un modo come un altro per dire che siccome siamo delusi da come governava Morsi, allora si è fatto bene a mandarlo a casa. Noi ci aspettavamo che andato via Mubarak arrivasse un nuovo governo liberale, che cambiasse l’Egitto e invece si è concentrato su inezie e limitazioni della libertà, fra l’altro in un periodo di forte crisi economica per il Paese. Ma piaccia o no, l’ex premier era stato eletto. È un golpe militare in piena regola.

Anche gli Usa sono stati cauti nel definirlo un golpe.
L’unico motivo per cui non lo dichiarano è che ogni anno gli Stati Uniti prestano 1 miliardo e mezzo di dollari all’Egitto, soprattutto per fini militari. Se dicessero che è in atto un colpo di Stato non sarebbe più morale prestarglieli.

Quali le ripercussioni politiche sulla regione?
Basta guardare il destino differente spettato alle grandi tv panarabe. Sono due, Al Jazeera e Al Arabiya, diretta emanazione di Qatar e Arabia Saudita. Si muovono secondo le inclinazioni e gli interessi dei due Paesi, spesso divergenti. L’emittente qatariota si è sempre schierata dalla parte dei Fratelli Musulmani e di Morsi, sia prima dell’elezioni – quando raccontava che il Paese andava verso una nuova stagione dorata – che adesso – in cui raccontava il golpe con toni molto critici. Per questo i suoi giornalisti sono stati cacciati.

Critiche a parte, è un dato di fatto che si fatichi a trovare un nuovo presidente per l’Egitto. Archiviato El Baradei, cosa potrebbe accadere?
Direi una sciocchezza se facessi previsioni. La situazione muta di ora in ora. Al momento non ci sono elementi che diano indicazioni. L’unica certezza è che in Egitto al momento c’è un solo uomo forte, il generale Al Sisi (nella foto). Guarda caso un militare.

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