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La negligenza pachistana che permise la latitanza di Bin Laden

Se Osama Bin Laden potè nascondersi per nove anni in Pakistan senza problemi fu per un “fallimento collettivo” di servizi d’intelligence e militari pachistani. Parla di “incompetenza” e “negligenza” a ogni livello amministrativo il rapporto della commissione d’inchiesta istituita nel 2011 per indagare sul raid statunitense che portò all’uccisione del leader di al Qaida, scovato il 2 maggio dello stesso anno in un complesso di Abbottabad, circa 85 chilometri della capitale pachistana Islamabad. Un’azione in territorio pachistano definita “un atto di guerra”, che segnò i rapporti tra il governo di Islamabad e Washington.

Le conclusioni del rapporto non escludono inoltre che ci possano essere state complicità all’interno dell’apparato pachistano, ma mancano le prove a sostegno. Il documento stilato dopo aver sentito oltre 200 testimoni tra familiari dello sceicco saudita, ministri e lo stesso ex capo dei potenti servizi d’intelligence Ahmed Shuja Pasha era rimasto secretato sia sotto il passato governo del Partito del popolo pachistano della famiglia Bhutto sia durante il governo ad interim che ha traghettato il Paese nel periodo prelettorale sia nel primo mese del nuovo esecutivo guidato dal già due volte premier, Nawaz Sharif.

Una copia del rapporto è stata diffusa lunedì da al Jazeera. Delle 336 pagine ne manca almeno una, pagina 197, parte della testimonianza di Pasha. Nelle parti non omesse, l’ex numero uno dell’Isi ammette un’intesa politica con gli Usa su un tema controverso come l’uso di droni per omicidi mirati sospetti terroristi sul suolo pachistano, senza tuttavia che i due governi giungessero a un accordo scritto. Frasi che, scrive il Guardian, daranno argomenti ai critici della strategia anti-terrorismo statunitense di cui chiede la fine lo stesso premier Sharif.

Le rivelazioni della televisione panaraba arrivano a stretto giro dall’ordine con cui, scrive l’Associated Press, il comandante per le operazioni speciali statunitensi, l’ammiraglio William McRaven, ha trasferito la responsabilità dei file sull’operazione dei Navy Seal dal dipartimento della Difesa alla Cia, per garantirne la sicurezza.

Gli errori, in buona o cattiva fede, del Pakistan sono riassunti dall’episodio del posto di blocco in cui Bin Laden fu fermato per eccesso di velocità in un mercato nel distretto di Swat. Secondo quanto rivelato da Maryam, moglie di Ibrahim, una delle guardie dello sceicco, fu proprio l’intervento del marito a sistemare la faccenda e permettere al gruppo di passare tranquillamente senza che il ricercato numero uno al mondo fosse riconosciuto.

Altri particolari della vita privata del leader di al Qaida sono l’abitudine di portare un cappello nero da cowboy per non essere riconosciuto dai satelliti spia e di mangiare una mela o del cioccolato quando si sentiva spossato. Dalle testimonianza si scopre anche che per il figlio di un vicino Bin Laden era il povero zio che, a differenza degli altri uomini, non usciva mai per fare spese.

Entrato in Pakistan nel 2002, sfuggito alla cattura nella battaglia di Tora Bora a dicembre dell’anno prima, Bin Laden riparò prima nelle aree tribali del Waziristan del Sud e del Bajaur, si trasferì poi a nord nella Valle di Swat, dove trascorse alcuni mesi e dove agli inizi del 2003 incontrò Khalid Shaikh Mohammad, uno delle presunte menti dell’attacco alle Torri Gemelle, catturato poco dopo con un’operazione congiunta pachistano-statunitense a Rawalpindi. Ci fu un periodo di due anni di latitanza a Haripur, nel nord del Paese e infine, nell’agosto del 2005, lo sceicco saudita trovò riparo nel complesso di Abbottabad dove morirà sei anni dopo.

In nove anni il Pakistan, scrive al Jazeera, ha assistito a quella che è definita la sindrome da implosione governativa: il fallimento pachistano nel raccogliere informazioni su Bin Laden e il raid Usa considerato una violazione della propria sovranità. Secondo la commissione, “né la politica, né i militari né la burocrazia possono essere assolti per le loro responsabilità nel governare lo Stato e nel realizzare politiche che hanno inevitabilmente portato a questo fallimento nazionale”

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