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Standard & Poor’s ci taglia il rating? E l’Italia che cosa aspetta a tagliare il debito?

Chiusa la procedura europea d’infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, il vero problema da affrontare oggi resta quello del debito pubblico, arrivato in aprile alla cifra monstre di 2.041,3 miliardi di euro, quasi il 130% del prodotto interno lordo. La soluzione, cui si deve lavorare anche in vista dell’entrata in vigore del Fiscal Compact nel 2015, secondo il Pdl sta nel taglia debito, il programma di dismissione di beni pubblici.

Ma l’impianto targato Pdl è di quelli a effetto: punta infatti a una riduzione strutturale del debito pubblico per almeno 400 miliardi di euro (circa 20-25 punti di Pil), così da portare sotto il 100% il rapporto rispetto al Pil in 5 anni. Una cifra eccessiva? Non secondo uno degli ideatori del progetto, l’economista Francesco Forte, ministro delle Finanze nel governo Fanfani e ministro delle Politiche comunitarie in quello Craxi, intervistato da Formiche.net.

Un piano non nuovo

“Il piano del Pdl non è certo nuovo – spiega Forte, oggi editorialista del Giornale e del Foglio -. Già nel maggio del 2011, nel gruppo parlamentare Pdl alla Camera presieduto da Fabrizio Cicchitto si discusse di un piano da me elaborato per la privatizzazione di beni pubblici, che fu poi pubblicato sulla rivista ‘L’ircocervo’ della Fondazione Rel, di cui io sono presidente del comitato scientifico e di cui Cicchitto è presidente. Mentre in un primo momento il piano si concentrava sull’alienazione, con una cifra aggredibile di 200 miliardi, in seguito si passò a una stima di 400 miliardi perché si pensò di attuare una parte del piano attraverso operazioni di cartolarizzazione del 25% del valore di una quota delle cartelle del debito pubblico a lungo termine, che sarebbero divenute così meno rischiose. Con la concezione dello swap, il titolare di questi securitized asset può ad un certo punto chiedere di tramutare un quarto del debito pubblico detenuto in beni specifici”, sottolinea.

I piani di Masera e Savona

Il piano fu sottoposto anche all’attenzione del presidente della Repubblica prima delle dimissioni di Berlusconi nel novembre del 2011, “ma gli esperti di Napolitano non lo presero in considerazione. Le riunioni sul tema continuarono anche durante il governo Monti, tanto che il mio piano, anche attraverso convegni di Magna Carta, fu integrato con quelli degli economisti Rainer Masera e Paolo Savona, che presentavano delle varianti aggiuntive. Masera si concentrava sugli swap, mentre nel mio contributo erano presenti solo le cartolarizzazioni. Savona invece aveva pensato alla creazione di un veicolo finanziario internazionale che avrebbe dovuto anticipare 400 miliardi di euro, con impegni di spesa da scaglionare nel tempo. Renato Brunetta, sulla base di questi tre contributi, ha costruito un documento comune. Feci notare che ogni progetto comportava rischi, ma nel mio caso erano minimi, perciò il piano è stato costruito in due parti”.

Il ruolo delle famiglie e la replica a Visco

Ma come funzionerebbe questo piano nel concreto? “Dobbiamo privatizzare il debito pubblico e tramutarlo in crediti delle famiglie, e poiché gran parte di questo è gestito da istituzioni in primo luogo ci rivolgiamo ad esse, specialmente alle assicurazioni per la previdenza integrativa, a quelle per la vita e alle banche. Le famiglie quindi devono presentarsi in blocchi attraverso le sgr. Non esistono problemi di liquidità, perché non c’è bisogno che ci siano i soldi. Sono i creditori dello Stato che con lo swap diventano proprietari, ed in questo modo si evitano crisi di destabilizzazione, come nel caso in cui a dominare sia un fondo estero”.

Ma questo meccanismo è veramente pericoloso per i cittadini, come sottolinea l’ex ministro ed economista Vincenzo Visco, che oltre a non credere che esistano beni vendibili per 200 miliardi di euro e passa, giudica pericoloso trasferire alle famiglie obbligazioni che, al confronto col mercato, rischierebbero un deprezzamento immediato? “Visco ha letto male – replica Forte -. Noi non obblighiamo le famiglie, lo swap è volontario. Trasformiamo in usufrutto o enfiteusi le concessioni demaniali, che possono essere così cartolarizzate, ad esempio”.

Il piano Brunetta: dismissioni, Svizzera, fondo Sgr

Dei 400 miliardi di debito da tagliare, dice il piano messo a punto da Brunetta, 100 deriverebbero dalla vendita di beni pubblici per 15-20 miliardi l’anno; 40-50 miliardi dalla costituzione e cessione di società per le concessioni demaniali; 25-35 miliardi dalla tassazione ordinaria delle attività finanziarie detenute in Svizzera (5-7 miliardi l’anno). Un punto realizzabile? “Realizzabilissimo”, secondo Forte, ostacolato però dalle “opposizioni di tributaristi e di grandi gruppi finanziari italiani”. Ci sarebbe già, quindi, “un pacchetto di un centinaio di miliardi di euro liquidi, senza bisogno di ricorrere a swap”, sottolinea l’economista.

La tempistica e la frammentazione del Pd

Ma la tempistica di cui ha parlato il premier, con la presentazione di un piano in autunno, è credibile? “Il partito di Letta è frammentato ed è possibile che si presenti un progetto parziale”. Secondo Forte positivo sarà il giudizio di Bankitalia, considerando anche che “Savona e Masera sono due ex uomini di Palazzo Koch. Ma il governo è in parte sotto il Pd, e in parte sotto la tutela del sistema confindustriale e bancario italiano, e cosa questi abbiano intenzione di fare non sono davvero in grado di prevederlo. La decisione – prosegue l’ex ministro ed editorialista di Giornale e Foglio – dipenderà da quanto potere riuscirà ad avere Letta dentro il Pd e dall’interesse delle grandi banche ad appoggiare il Pd nel caso entrino in questo meccanismo operatori internazionali. Ma quello del taglia debito è un intervento politico massiccio che farebbe perdere ai gruppi di potere del nostro Paese il loro controllo. A meno che Mediobanca non diventi sempre più un vero gruppo internazionale abbandonando il modello capitalistico di relazione su cui si è basata fino ad oggi”.

Cdp, Mediobanca, Generali e la tutela dell’industria nazionale

I gruppi interessati? “Potrebbero essere, oltre a Piazzetta Cuccia, Cdp e Generali. E anche Anas, Ferrovie dello Stato e Poste se sbarcassero in Borsa”.

Ma come rispondere alle critiche che vengono mosse in merito all’eventuale cessione di asset considerati strategici, come in Enel, Eni e Finmeccanica? “La Cdp – spiega l’economista – ha già comprato quote di Eni ed Enel, e, di certo, può comprarne ancora. L’industria nazionale non è affatto a rischio con questo piano. D’altra parte, la regolamentazione dei beni pubblici consente di dire che un’acquisizione può non essere accettabile per la sicurezza nazionale italiana”.

Il coordinamento con gli Enti locali

E come coordinarsi invece con gli Enti territoriali? Secondo il Corriere della Sera è probabile che si scatenerebbe un contenzioso fra Stato, Regioni ed enti locali su buona parte dei cespiti coinvolti. “Il Corriere deve aver letto male il testo perché questo piano non riguarda gli Enti territoriali, ma solo lo Stato centrale. La nostra intenzione è quella di fare cose concrete e gestibili. Gli enti locali continuano ad essere una mano morta che l’Italia ha e che si rafforza con il clientelismo che lì predomina”, conclude Forte.

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