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Standard & Poor’s, quando i signori del rating si declassano da soli

Quindi non era solo la credibilità internazionale e morale di Silvio Berlusconi la causa dei mali italiani. Non era dunque un governo di centrodestra diviso fra l’ala sviluppista incarnata dall’ex premier e quella ultra rigorista impersonificata da Giulio Tremonti a spaventare i signori del rating che tutto sanno di numeri e poco di altro. Quindi non erano le tanto evocate “riforme strutturali” le mancanze dell’Italia.

Dalle analisi del report con cui Standard & Poor’s ha declassato l’Italia si resta basiti per quanto il giudizio sia basato su fatti e numeri stantii. Federico Fubini su Repubblica nota che l’agenzia di rating per spiegare la bocciatura ricorre a questa descrizione fondamentale dell’Italia: “La composizione del bilancio è un deterrente alla crescita: le tasse sugli investimenti e sul lavoro sono più alte di quelle sulla proprietà immobiliare e sui consumi”. Ohibò che novità, ragazzi.

E che dire dell’altra acqua calda scoperta? Per i mister rating, sottolinea Fabrizio Ravoni sul Giornale, è colpa anche del “peggioramento delle prospettive economiche: da 10 anni l’Italia cresce ad una media dello 0,04 per cento all’anno”.

E, dulcis in fundo, la querelle che appassiona e anzi preoccupa cittadini, contribuenti e imprese: l’Imu e l’Iva. Sì, i signori di Standard & Poor’s temono in particolare “la sospensione dell’Imu e un ritardo di gettito dell’Iva”. Forse non sanno che devono essere previste precise coperture finanziarie per provvedimenti del genere.

Ma loro sanno tutto di numeri e nulla di altro, si sa.

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