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Fra Usa e Kazakhstan, se l’Italia non capisce la nuova guerra fredda

Sorpresa! Nel magico mondo delle spie non ci sono solo i bit e la battaglia per il loro controllo. I “vecchi” metodi resistono sempre ed è difficile che potranno essere del tutto soppiantati dall’elettronica. Quanto accaduto sul suolo italiano nelle settimane passate è un buon esempio, da quel che si può intuire mettendo insieme le tessere pubbliche del mosaico, di un ritorno alla tanto amata e da qualcuno rimpianta guerra fredda.

Il caso Snowden è solo la punta di un iceberg che è tornato a dividere Stati Uniti e Russia (con Cina e Paesi Mercosur). La vicenda del dissidente kazako, nonché mega truffatore presunto, potrebbe infatti essere spiegata anche in questo mutato contesto geopolitico. Gli indizi disseminati dopo la cosiddetta “rendition” della moglie e della figlia, farebbero pensare che Ablyazov abbia trovato riparo se non fisicamente negli Stati Uniti (a New York) comunque sotto l’ombrello diplomatico americano.

D’altronde, a parte il giallo sulla catena di comando del Viminale (che pure non è poca cosa), il vero mistero dell’operazione condotta da polizia italiana su segnalazione delle autorità kazake non sta nell’arresto e nel rimpatrio di Alma Salabayeva e della piccola Alua ma nella mancata cattura del miliardario fuggito da Astana. Ablyazov era in Italia, a Roma. L’intelligence inglese lo aveva avvisato che a Londra era stato individuato e che correva il rischio di finire vittima di qualche ‘incidente’ e che il governo di Sua Maestà non avrebbe potuto proteggerlo.

Di qui, con o senza tappe intermedie, giunge nel nostro Paese e anche qui viene scovato dagli uomini che gli danno la caccia. Scatta la segnalazione agli Interni – con modalità che sono oggetto di accertamento da parte del capo della Polizia – e in effetti gli uomini della Digos ne riscontrano la presenza, confermata peraltro dalla memory card della macchina fotografica prelevata durante la perquisizione nella casa di Casal Palocco dove alloggiava da un anno la moglie. Il blitz scatta prestissimo, così presto da far sorgere sospetti, ma – colpo di scena – Ablyazov non c’è. Vengono identificati il fratello, la moglie e la figlia e quello che accade dopo è stato raccontato per filo e per segno in questi ultimi giorni.

Quello che non è stato spiegato è chi ha avvisato il dissidente dell’imminente operazione della Ps italiana e come abbia fatto a fuggire facendo perdere, almeno apparentemente, le sue tracce. Le persone bloccate dalla Digos nei pressi della villa e dichiaratisi ingaggiati da una agenzia di sicurezza israeliana potrebbero essere state non le uniche anomalie di questa che va sempre più delineandosi come un intrigo internazionale bello e buono in cui tutti vincono qualcosa e l’Italia paga per tutti.

Usa e Inghilterra hanno protetto Ablyazov ed hanno per le mani il simbolo di un caso di diritti umani violati in uno dei più rilevanti satelliti della Russia tutto petrolio e gas di Putin. Il Kazakhstan ha in consegna la moglie e la figlia del dissidente ed è assai improbabile che le riconsegnerà alle autorità italiane (e comunque la trattiva sarà fatta direttamente con gli emissari di Ablyazov, verosimilmente americani). Il nostro Paese non è stato capace, dal punto di vista kazako, di arrestare l’uomo su cui comunque pendeva un mandato dell’Interpol e neppure capace, dal punto di vista anglosassone, di proteggere i suoi familiari che ha invece fatto rimpatriare.

In tutto questo abbiamo avuto la capacità di consentire il montaggio di uno scandalo narrato con gravità superiore alla evidenza pur meschina dei fatti. Mentre ad Est ed Ovest tornano a srotolare un filo poco visibile ma molto spinato, noi che siamo geograficamente centrali ci divertiamo a passeggiarci su, sul filo spinato. A piedi nudi ovviamente.

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