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Mosche contro tigri

Nella narrazione popolare e giornalistica cinese, il Paese del Partito unico, i funzionari pubblici rivestono un ruolo fondamentale nella società. E si dividono in due categorie. Le mosche sono quelli di basso livello. Le tigri invece occupano i vertici: dai vice governatorati provinciali in su. 

Oltre al fatto che se sei mosca puoi ambire a diventare tigre (mentre il percorso inverso può essere frutto solo di qualche disgrazia) c’è una cosa che accomuna le due categorie: la corruzione. Che in Cina è spietata. Peggio che da noi. Per vari motivi. Primo perché è sostanzialmente tollerata: gli stipendi (quelli delle mosche soprattutto) sono piuttosto bassi e si chiude un occhio se qualcuno arrotonda. E poi perché è talmente radicata da essere la prassi. Non è tanto se rubi, ma quanto rubi e quanto sei capace di rubare senza esagerare.

Naturalmente la tolleranza non significa che il governo non tenti di fare nulla. A cicli regolari, in concomitanza con l’arrivo di un nuovo segretario del Partito, si tenta di stringere la corda. Xi Jinping ha promesso che “schiaccerà le mosche e ucciderà le tigri”. 

I primi risultati sembrano incoraggianti. Nella prima parte dell’anno la vendita di orologi svizzeri di alta gamma è scesa del 25%, quella delle Mercedes del 12%, e quella del liquore nazionale più famoso – il Kweichow Moutai – addirittura del 50%. 

Qualcuno sostiene che si tratti di una messinscena. Leggete il bellissimo editoriale di Minxin Pei, che dalla rubrica “senza frontiere” che lo ospita su L’Espresso racconta proprio questo. E cioè che di solito le imputazioni per corruzione quadruplicano nel primo anno che segue all’insediamento del nuovo governo. Entro il secondo anno però si stabilizzano e tornano alla soglia usuale: circa 3mila ogni anno.

Minxin Pei in chiusura del suo editoriale si chiede se non sia l’ennesima operazione immagine. Noi possiamo chiederci se è a conoscenza delle vicende del Paese per cui scrive: l’Italia. Da noi non ci sono onde nè risacca. C’è lo stagno. Un organismo che oggettivamente langue – la Civit – si arrabbatta diffondendo linee per la trasparenza e codici etici. Mai rispettati. Il Consiglio dei Ministri si divide platealmente su banali norme anti-corruzione delle lobby. Guarda il caso dei regalini dei lobbisti ai politici e dell’obbligo di portare in chiaro gli appuntamenti.

Insomma, da noi le tigri mordono e le mosche volano via. Imperturbate.

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