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Ma che c’entra Monti con la cultura dei cattolici in politica?

Il senatore a vita Mario Monti, dopo aver ricoperto il ruolo di presidente del consiglio di un governo di emergenza, indotto da interessati e/o sprovveduti consiglieri, ha deciso di capeggiare un partito. Nelle iniziali intenzioni doveva essere la concretizzazione di un “centro” cattolico-liberale, ma che strada facendo si è modificato geneticamente, tanto da diventare un ircocervo o forse un cerbero. Si è capito con ritardo che era altra cosa, ma intanto i giochi erano fatti. C’è stato equivoco e, quindi, mancanza di chiarezza nei confronti degli elettori.  La sintesi tra le idee di Monti, quelle di Casini, le altre di Riccardi e Montezemolo, e di Fini non è riuscita a prendere forma, e n’è venuto fuori un guazzabuglio. Appena qualche settimana dopo l’esito delle elezioni sono iniziate, come ovvio che fosse, incomprensioni e frizioni. Gli scontri non sono mancati all’interno della improvvisata e sgangherata formazione politica, tanto che Montezemolo ha annunciato la presa di distanza da Scelta Civica, Monti è sempre più dubbioso e amletico, sapendo di svolgere un ruolo che non gli è congeniale, Riccardi e Fini sono scomparsi, Pierferdinando Casini che pensava di aver partorito un grande progetto per il futuro dell’Italia è rimasto con le pive nel sacco. E con lui i tanti seguaci dell’Udc che sin dall’inizio avevano criticato questa gratuita donazione di sangue di Pierferdinando, che, se si capisce bene, vorrebbe continuare l’avventura. Per andare dove? Non si sa. I veri danneggiati comunque sono stati iscritti ed elettori dell’Udc, che per correre dietro ad un fantasma hanno perso quasi tutto. Non si è mai visto che un partito strutturato stringesse accordi con altri aleatori soggetti privi di stella polare e di un minimo di organizzazione politica. Casini non comprende che i tanti giri di valzer possono solo nuocere allo Scudocrociato, storica e gloriosa insegna dei cattolici in politica. Chi si identifica politicamente con lo Scudocrociato deve sapere che quel simbolo rappresenta la storia del popolarismo e degli ideali democristiani. Ci si dimentica che la cultura dei cattolici in politica ha portato l’Italia negli anni ‘60 e ‘70 ad essere la quarta potenza economica mondiale, per merito di uomini come De Gasperi, Fanfani, La Pira, Aldo Moro, nonostante le aggressioni di Circoli culturali anglo-americani, di ispirazione liberista. Gli statisti democristiani ebbero la determinazione di non abbandonare le politiche ad economia mista di stampo keynesiano, ricostruendo e agevolando crescita, sviluppo e benessere del Paese, tanto da diventare esempio a livello internazionale.  I cattolici in politica, durante il tempo del governo Monti, scrutavano altri orizzonti: c’era la concreta speranza di un nuovo inizio per la nascita di un partito laico, aconfessionale, europeo, democratico, popolare, d’ispirazione cristiana in sintesi il recupero del “popolarismo” nel terzo millennio. C’era la voglia di agire al cospetto di una politica grigia, sempre più povera, sostenuta da un sistema elettorale balordo, che continua ancora oggi a tenere in vita consorterie elitarie e variopinte oligarchie: causa prima dell’allontanamento di tanti cittadini dall’interesse per la cosa pubblica. Si stava lavorando per organizzare le volontà, metterle insieme, farle diventare soggetto di proposta; nel contempo però nasceva l’idea di “scelta civica” di Monti, anch’essa apprezzabile, ma per certi versi asfittica, senza supporto culturale e, quindi, priva di visione politica. Non poteva essere in alcun modo esaustiva delle aspettative e delle peculiarità dei cattolici, educati come sono ad agire e a confrontarsi, secondo propri modelli culturali, etici, politici, sociali. La necessità di rappresentare nella vita pubblica ideali cristiani è indispensabile, se si vuole che l’Italia torni ad essere protagonista all’interno e in campo internazionale, soprattutto in questa contingenza storica, caratterizzata da relativismo, nichilismo, agnosticismo. Non si tratta di rilanciare una nostalgia, ma di prendere atto che l’Italia non si governa senza la partecipazione attiva e concreta dei cattolici, espressione dell’unica vera cultura fondante di questo Paese. La questione va esaminata con convinzione e rapidità. I cattolici dovranno riprendere il loro seggio nella storia d’Italia ed essere forza centrale di proposta, per favorire benessere, sviluppo, istituzioni moderne. Senza arroganza e neppure però senza tante timidezze.

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