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Papa a Rio, come e perché non ha parlato di politica (o forse sì)

Quella grossa valigia portata a mano sul volo che lo ha condotto a Rio entrerà tra i simboli caratteristici del pontificato di Francesco, come la croce in argento o le scarpe nere al posto di quelle “rosso curiale”. E che al suo interno vi fossero custoditi anche documenti relativi alle prossime mosse sullo Ior o su presunte lobby gay in Vaticano solletica più che altro la fantasia dei retroscenisti: di certo quello che sembra non mancare nel bagaglio di Jorge Mario Bergoglio è la sua “agenda sociale”, tanto più in un paese entrato nel vortice della crisi, come il Brasile, dove neppure ieri sono mancate le proteste davanti al palazzo di Guaranaba (e un ordigno è stato rinvenuto nei pressi del Santuario di Aparecida, dove si svolgerà la giornata di mercoledì della Gmg) nelle ore della cerimonia di accoglienza del Papa. Giovani e lavoro, dunque. Si trattasse di politica tout court, potrebbe parlarsi di un programma di governo in pieno stile.

Aspettative deluse

E invece – nota il quotidiano O Globo – i messaggi politici, nel primo incontro con il presidente carioca Dilma Rousseff, non sono arrivati. Deludendo qualche attesa. O almeno non sono arrivati in forma esplicita, perché il Papa, come spesso gli è accaduto in questi primi mesi di pontificato, ha fatto di più.
Nel corso del volo partito da Roma alle 8.45, intrattenendosi con i giornalisti al seguito, ha invitato tutti a lavorare per “una cultura dell’incontro” in contrapposizione a quella dello “scarto”, nella quale vengono oggi risucchiati i giovani, ammonendo contro “il rischio di avere una generazione che non ha avuto un lavoro”, e lasciando chiaramente intendere come l’uscita dalla crisi non possa venire attraverso nuove speculazioni finanziarie o massicci investimenti infrastrutturali (gli stessi che il Brasile sta producendo per i Mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016), ma con una rinnovata attenzione all’uomo, fin dalla giovane età.

I giovani prima di tutto

Francesco lo ha dimostrato plasticamente una volta atterrato a Rio, ed è il secondo elemento. Si è infilato in un’utilitaria grigia, una Fiat Idea prodotta proprio in Brasile, e dirigendosi verso l’eliporto da dove è poi partito per il palazzo di Guaranaba, al netto degli errori marchiani commessi dagli apparati di sicurezza, si è fatto letteralmente travolgere dagli abbracci e dalle carezze delle persone, soprattutto dal contatto con i bambini che gli venivano offerti per la benedizione. Il ritardo sul cerimoniale è stato di oltre un’ora, lanciando un altro segnale alle autorità, valido chiunque esse siano: i ragazzi, i giovani, le famiglie vengono prima di qualsiasi protocollo. Una replica sostanziale di quanto avviene in San Pietro nel corso delle udienze del mercoledì.

Al cospetto di Rousseff

Giunto al cospetto della Rousseff, ancora una volta, nessun accenno apparente alla situazione del Brasile (del resto, è stato lo stesso Bergoglio a chiedere che siano le Conferenze episcopali a occuparsi dei rapporti con la politica all’interno dei singoli paesi), ma un richiamo ulteriore ai giovani, per proseguire il ragionamento aperto sul volo AZ4000 che lo ha condotto a Rio, e che sarà il leit motiv di questa Gmg. Se “la gioventù – ha detto il Papa – è la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo”, allora “la nostra generazione si rivelerà all’altezza della promessa che c’è in ogni giovane quando saprà offrirgli spazio, tutelandone le condizioni materiali e spirituali per il pieno sviluppo; dandogli solide fondamenta su cui possa costruire la vita; garantendogli la sicurezza e l’educazione affinché diventi ciò che può essere”. E’ questo il senso di quel “non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo”, pronunciato sempre nel corso della cerimonia di benvenuto.

Niente politica?

E se stamattina il quotidiano francese Le Monde si chiedeva se i primi mesi di Bergoglio rivelino un “cambio di stile o una vera rivoluzione”, dando però l’impressione che si tratti di disquisizioni talvolta alte, talaltra non così decisive, poiché ciascun Pontefice incarna in maniera personale quello che viene chiamato “carisma petrino”, il dubbio rimane: davvero non ha parlato di politica?

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