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Salvatore Settis: “Un Paese senza cultura è un Paese senza futuro”

Salvatore Settis archeologo e storico dell’arte di fama mondiale. Ha diretto il Getty Research Institute di Los Angeles e la Normale di Pisa. E’ presidente del Consiglio scientifico del Louvre e Accademico dei Lincei.

Le sue autorevoli idee sono, ogni volta, una bussola per trovare la giusta direzione, con esempi concreti di inversione di rotta, per restituire alla cultura la meritata attenzione e dignità.

L’insigne professore è da sempre attento alle sorti del nostro paese e della società civile che può compiersi anche attraverso un diritto inalienabile tra i principi fondamentali della costituzione: il diritto alla cultura. Un diritto che ha pieno esercizio se si realizza compiutamente la formazione della “cittadinanza attiva”.

Cittadinanza che diventa la chiave del futuro non solo del singolo cittadino, della comunità, ma anche del Paese, il nostro Paese che deve risollevarsi dalla crisi, anche culturale.

Questa chiave è riposta soprattutto nell’accesso ai saperi con una coscienza democratica che necessita di una “alfabetizzazione costituzionale dei cittadini”

In merito all’attuale “stato della Cultura” si è espresso il Prof. Settis anche in relazione alla recente scomparsa di Vincenzo Cerami il quale, con il suo testamento sull’attuazione dell’art. 9 della Costituzione, ha colpito gli animi più sensibili che hanno davvero a cuore la difesa della Cultura.

Con l’auspicio che i decisori prendano finalmente coscienza delle nostre risorse reali, per i necessari interventi urgenti e responsabili.

I decisori si ostinano a non destinare risorse per la cultura al fine di investire sulle umane risorse nonché sulle necessità strutturali e strumentali. E’ possibile invertire la rotta?

Non è solo possibile, è necessario. Noi italiani abbiamo un privilegio di cui ci stiamo dimenticando : il diritto alla cultura è chiaramente disegnato nella nostra Costituzione (ho cercato di mostrarlo anche in un libro recente, Costituzione incompiuta a cura di Tomaso Montanari [Einaudi]). Ma rispettare la Costituzione non è astratto ossequio a principi polverosi. Vuol dire, al contrario, costruire il futuro del Paese: perché un Paese senza cultura è un Paese senza futuro.

Il Suo ultimo libro, “Azione Popolare”, è una miniera di analisi e proposte. Fino a quando dobbiamo assistere all’incostituzionalità delle scelte pubbliche e come fronteggiare questo primato delle deroghe sulle regole?

Se non riusciamo a diffondere una cultura e una pratica della cittadinanza attiva, che sia consapevole dei nostri diritti e delle loro ragioni, si allontanerà sempre di più dall’orizzonte la stessa idea di democrazia: ne resterà la parola, l’ombra, una retorica vuota e bugiarda. E’ importante non convincersi che la crisi economica abbia la forza di privarci dei nostri diritti. Dobbiamo anzi provare a capire le ragioni della crisi, e reagire ad essa: per fare solo un esempio, non dobbiamo piegare la testa davanti ai governi che tagliano i fondi per scuola, università, musei, ricerca: dobbiamo invece ricordare a chi ci governa che in Italia l’evasione fiscale è tra le più alte del mondo (per la precisione la terza, dopo Messico e Turchia). Nel 2012, secondo dati Confcommercio, non abbiamo pagato tasse per oltre 140 miliardi di euro. Recuperarne il 10 % basterebbe ad assumere nuovi insegnanti, rilanciare i musei, promuovere l’istruzione, il teatro, la musica. Un governo che non lo fa protegge l’evasione fiscale a scapito dei diritti civili.

L’ultimo appello di Vincenzo Cerami è stato per il rispetto dell’Art. 9 della nostra Costituzione: “La nostra speranza e’ che lo Stato e le imprese decidano insieme di investire sulle bellezze d’Italia e prendano coscienza che la cultura, il talento, la fantasia sono una risorsa reale”.

In che modo questa presa di coscienza, dovrebbe coinvolgere il sistema educativo al fine di formare i “cittadini” per evitare pericolose cecità?

Vincenzo Cerami, che mi è stato amico, ha messo il dito sulla piaga: se troppi italiani subiscono passivamente la vera e propria privazione autoritaria dei loro (dei nostri) diritti che si traduce nei tagli alla cultura, è per un deficit della scuola. Nel dopoguerra si è aperto un baratro fra la diffusione del benessere (gli anni del boom) e l’educazione, e la riforma della scuola media mancò il bersaglio abbassando il livello dell’educazione. Le riforme degli ultimi anni mortificano la scuola, spezzettano il progetto educativo in segmenti nozionistici irrelati fra loro, non vedono le nozioni come porta alla conoscenza, e la conoscenza come piattaforma per la cittadinanza, per l’uguaglianza, per la democrazia. Non usciremo mai dalla crisi, se non riusciremo a invertire questa rotta.

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