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Caro Zingales, la responsabilità è personale, non di sistema

In un recente editoriale sul Sole24Ore (“La lezione su Leopardi sulle regole e la morale”, del 18 luglio scorso), il Prof. Zingales ha commentato alcuni rilevanti fatti di cronaca rimandandone le cause alla cosiddetta “crisi di sistema”. Partendo dall’analisi di fatti specifici, il Prof. Zingales ha sottolineato come la crisi attuale non sia solo una crisi di finanza pubblica, ma anche una crisi del sistema economico italiano, fondato su un capitalismo relazionale che negli anni si è trasformato in capitalismo clientelare e corrotto inficiando meritocrazia, innovazione, ricambio generazionale, etc.

Affascinante analisi, tuttavia – mi si permetta – imperfetta in quanto trascura completamente il versante antropologico del problema. Uno dei classici e più frequenti errori di questi tempi nella valutazione degli eventi, o ancor meglio degli “strumenti” (capitalismo, mercato, globalizzazione, and so on) è quello di rinvenirne i mali “insiti” in essi e non invece la cattiva gestione degli stessi, che invece servirebbe per evidenziare la mancata preparazione e formazione dei singoli individui.

Quello che – umilmente… – trovo fortemente limitato ed errato nelle sopradette considerazioni, è che additando il “sistema” si rischia di ignorare la responsabilità personale degli individui chiamati a gestire gli strumenti suddetti. Mi si obbietterà che un ambiente omogeneo denso di soggetti atti alla mala gestio  possa costituire un  sistema. Anche in quel caso, e soprattutto in quel caso, la responsabilità è comunque personale e nessuno può essere accomunato ad altro, soprattutto quando le singole responsabilità (così come, del resto, le singole individualità!) all’interno di un’organizzazione sono diverse. Ben si attaglia l’analisi più volte condotta dal Prof. Sapelli nei suoi scritti, che ha spesso sottolineato come sia sempre più socialmente e culturalmente accettato l’utilizzo dei poteri di comando per soddisfare i propri desideri, ricambiare i favori con reciprocità collusive, e creare catene di complicità dirette a soddisfare volontà dettate dal tornaconto personale o addirittura da narcisismo. Il Professore parla a proposito di «familismo amorale», come di quell’orientamento dell’individuo all’azione, diretto a privilegiare i bisogni e le ambizioni della “famiglia” rispetto al bene comune.

Ecco che il tema della formazione torna prepotentemente a galla, come rimedio per un miglioramento qualitativo dell’individuo, ciascuno secondo la propria vocazione e le proprie responsabilità. La famiglia, intesa come contesto e nucleo fondante la società, costituisce il laboratorio (pessima parola!) più importante per la formazione della persona, senza limiti di età. Ma questo – tra le altre cose – richiede umiltà, e qui, come ben sappiamo, cade l’asino…

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