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Obama fa la cosmesi al Pil

Le economie avanzate in affanno cercano la crescita. Una ripresa che spinga l’economia reale, e che, per i contabili, alleggerisca i rapporti debito/Pil e deficit/Pil fissati da Maastricht e che tanto preoccupano gli Stati membri dell’Unione europea. In attesa, naturalmente, che il Fiscal Compact imponga un percorso di rientro sul debito ancora più faticoso da rispettare. Ma “aiutati che Dio t’aiuta” deve essere il motto che ispira il presidente Usa Barack Obama. Per gonfiare il Pil americano, da domani verranno contabilizzati anche gli investimenti in Ricerca e Sviluppo.

Negli ultimi decenni le imprese statunitensi sono cresciute, ma investendo sempre meno. Il trucco c’è. Ma niente inganno, tutt’altro. Mentre le società spendono una quota minore dei loro ricavi in beni tangibili come immobili o macchinari, destinano sempre più risorse all’innovazione e alla ricerca, come uno studio ingegneristico che possa permettere di automatizzare un processo industriale.

La spesa privata in investimenti

La spesa privata statunitense in Ricerca e Sviluppo, spiega Reuters, è quasi raddoppiata come quota di investimenti negli ultimi 50 anni. Importi che però non vengono contabilizzati come investimenti. Perciò, se le cure per il cancro vengono considerate ai fini del Pil, lo stesso non succede per la ricerca necessaria a svilupparle.

Quanto valgono gli investimenti R&D

Il cambiamento sarà deciso domani quando il Dipartimento del Commercio rilascerà studi di dati decennali rivisti che includeranno R&D come categoria d’investimento. E sotto questa nuova classificazione, la spesa Ricerca e Sviluppo aggiungerà circa 300 miliardi di dollari al Pil del 2010. “Potrebbe essere anche la voce più forte dell’intera economia Usa, E’ doveroso incorporarla”, ha spiegato Steven Landefeld, direttore del Bureau of Economic Analyses (Bea).

Un salto del 3% per il Pil Usa

Anche le risorse spese per la creazione di prodotti artistici come film e libri saranno contabilizzate come investimenti. Un plus che farà lievitare il Pil americano del 3% secondo il Bea. E che potrebbe dare l’impressione di un governo con la bacchetta magica per far risollevare l’economia. Ma gli Usa non saranno i soli ad adottare questa metodologia. Molti istituti statistici nel mondo hanno approvato l’adozione dei nuovi standard per la valutazione della crescita economica con il System of National Accounts dell’Onu nel 2008, e l’Unione europea comincerà a considerare contabilmente gli investimenti in Ricerca e Sviluppo a partire dal 2014.

I criteri di misurazione

“Con un capannone o un macchinario – spiega il Bea – hanno alcune caratteristiche in comune. In particolare un diritto di proprietà, la durata e l’utilizzo ripetuto. Le statistiche non tenevano quindi conto dei benefici attesi nel futuro”. Ma la svolta si prepara a rendere quella americana un'”economia della conoscenza”. E come misurare? Si farà riferimento ad appositi indici, da aggiustare per la produttività. Allo stesso modo, per le opere di entertainment, si calcolerà tra l’altro il valore attuale dei ricavi e si userà un tasso di sconto fissato al 7% del reale. Ma i nuovi criteri di misurazione coinvolgeranno anche i contributi concessi dalle imprese ai dipendenti, fino ad oggi considerati per il loro valore “nominale”. Da domani invece si aggiungerà la quota maturata dei loro frutti, il loro “rateo”.

L’Ue e la spesa in R&D in Italia

Una nuova metodologia contabile che potrebbe rappresentare una vittoria anche dal punto di vista politico per l’amministrazione Obama, che sta perdendo favore anche tra gli elettori statunitensi. E che potrebbe compensare i tagli alla spesa pubblica del Sequester con una nuova spinta economica. Il dibattito politico su una contabilizzazione simile in Italia resta fermo, anche se sarebbe un braccio forte a cui appendersi per il rispetto dei criteri di Maastricht, e a costo zero. Ma il problema è anche un altro. L’Italia sta rimanendo indietro anche in questo tipo d’investimenti, che invece dovrebbero essere il perno di una manifattura, certo, ma basata anche sull’innovazione. Una corsa legata a doppio filo con quella sulla competitività, che non dipende quindi solo dalle difficoltà dell’accesso al credito, dal costo del lavoro e dalla pressione fiscale record. La spesa in ricerca in percentuale del Pil? Negli Stati Uniti si attesta al 2,87%, in Germania al 2,84%, in Francia al 2,24%, nell’eurozona al 2,09%. Spicca, in basso, l’Italia, all’1,25% (Dati Eurostat). Lo spread, troppo vistoso, purtroppo esiste anche qui.

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