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La legge sull’omofobia mina la libertà di pensiero?

Nella notte tra il 7 e l’8 agosto un ragazzo di 14 anni si è tolto la vita lanciandosi dal tetto del suo palazzo a Roma. Un gesto che in una lettera ai genitori il giovane avrebbe legato alla sua presunta omosessualità. Sul quale la Procura capitolina ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. È soltanto il più recente di tragici episodi che riflettono un disagio interiore motivato dall’orientamento affettivo e sessuale. Ma che talvolta vede numerose persone gay o lesbiche vittime inermi di violenze e vessazioni frutto dell’odio e della discriminazione. Per tentare di porre fine alla lunga scia di aggressioni e soprusi, le forze politiche hanno promosso specifiche iniziative parlamentari che sono approdate nell’Aula di Montecitorio e verranno votate a partire da settembre. Si tratta di tre proposte di legge unificate in un testo omogeneo frutto del compromesso fra Partito democratico e Popolo della libertà, ma che hanno alimentato polemiche e obiezioni anche da parte di chi ha sempre difeso l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini e la pari dignità sociale degli individui. Al centro delle critiche è un interrogativo cruciale: la libertà di pensiero e di espressione sancita dall’articolo 21 della Costituzione sarà garantita senza limitazioni e rischi a chi pubblicamente manifesterà una valutazione critica verso le relazioni e le unioni gay? E non vi è il pericolo di creare una “giustizia privilegiata a favore di gruppi sociali protetti”?

Il contenuto delle proposte di legge contro l’omofobia

Il progetto presentato dal parlamentare del Pd vicino a Matteo Renzi Ivan Scalfarotto e da altri deputati del suo partito, di Sinistra e libertà nonché del Movimento Cinque Stelle, si fonda sul presupposto che l’orientamento sessuale della vittima non è neutrale rispetto al fondamento, alla motivazione, al movente dei reati contro le persone gay e lesbiche. Prevede l’estensione alle discriminazioni basate sull’identità di genere dei crimini di matrice razziale, etnica, nazionale, religiosa, linguistica puniti dalla legge Mancino-Reale. Negando che “le norme porterebbero alla condanna della mamma che suggerisse alla figlia di non sposare un bisessuale, o del padre che decidesse di non affittare una casa di sua proprietà al figlio che volesse andare a viverci con il proprio compagno”, l’esponente democrat spiega come “le condotte punite andrebbero ben al di là della manifestazione di un’opinione frutto di pregiudizio e prefigurerebbero l’istigazione a commettere una discriminazione o una violenza”. Tuttavia il disegno di legge reintroduce al posto della propaganda la più generica “diffusione delle idee fondate sulla superiorità o sull’odio contro un gruppo sociale”, e prevede la più ampia fattispecie dell’incitamento in luogo dell’istigazione per reati che variano tra 6 mesi e 4 anni di reclusione.

Analoga ispirazione è all’origine del disegno di legge che ha come primo firmatario il parlamentare del Pd Emanuele Fiano che aggiunge la disabilità delle persone all’ambito di applicazione della normativa Reale-Mancino, e richiamandosi all’articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea contro ogni genere di discriminazione riporta a 3 anni la pena massima per l’incitamento dei crimini di odio. Il Trattato di Lisbona, così come l’articolo 3 della Carta costituzionale, costituisce la stella polare della proposta presentata da Renato Brunetta, Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo che introduce il fattore della discriminazione tra le circostanze aggravanti del reato previste dall’articolo 61 del Codice penale per cui è previsto l’incremento fino a un terzo della condanna. Consapevoli della necessità di chiarire i confini del reato, i parlamentari del centro-destra scrivono che “la discriminazione consiste in una violazione della dignità della persona, trattata in modo deteriore rispetto un’altra a causa di un motivo di disparità”.

Le critiche liberali ai progetti parlamentari

A paventare i riflessi illiberali delle iniziative parlamentari è stato innanzitutto Piero Ostellino che il 3 agosto sul Corriere della Sera scrive di non riuscire a capire “perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante mentre picchiare me che sono un essere umano senza selettive e distintive qualificazioni sessuali sarebbe meno grave”. Ricordando come “agli occhi di una persona dotata di senso comune l’omosessualità non sia oggi un vizio come volevano e in parte vogliono ancora certi integralismi religiosi”, il giornalista accusa il progetto di legge di ripristinare alla rovescia la discriminazione a favore di un “gruppo protetto” di persone che deve godere di uno statuto speciale rispetto a chi la pensa diversamente: “Una strada che porta all’inferno del totalitarismo, notoriamente costellata di buone intenzioni”. Pierluigi Battista denuncia su Twitter “il paradosso di una battaglia contro l’omofobia che invece di abolire i reati di opinione rischia di introdurne di nuovi”. E la direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani parla di “un provvedimento scaturito dalla sudditanza culturale ai velleitari editti di quel politically correct che qualcuno vorrebbe instaurare come religione di Stato”.

La discussione nell’Aula di Montecitorio

Valutazioni critiche riecheggiate nell’Assemblea di Montecitorio del tardo pomeriggio del 5 agosto, quando in un’Aula quasi deserta è stata avviata la discussione generale sul progetto di legge unificato. Le prime perplessità vengono manifestate dal sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri, convinto della necessità di “evitare un testo ideologico lesivo della libertà di educare, insegnare, suggerire scientificamente ai propri figli e allievi”. Riserve che si trasformano in accuse negli interventi di Paola Binetti e Eugenia Roccella. La parlamentare cattolica di Scelta civica teme che l’introduzione dei crimini di omofobia possa riflettersi sulle norme del Codice civile che regolamentano il matrimonio e la famiglia, “dove si parla di padre e madre, uomo e donna”. Perché il No alla violenza, al pregiudizio, all’odio anche nelle parole – rimarca l’ex esponente teo-dem – non può essere un No alla libertà di pensiero, per cui chi non vota la legge si schiera dalla parte dei violenti diventandone inevitabilmente complice. Rivendicando la facoltà di continuare a interrogarci sulle cause, la natura, il rilievo esistenziale, le mille varianti dell’omosessualità, la rappresentante dell’Udc paventa il rischio di “trasformare in reato d’opinione l’opporsi al matrimonio o all’adozione da parte delle coppie gay, mettere in risalto la matrice naturale e non convenzionale di femminilità e mascolinità, la differenza antropologica e la complementarietà tra uomo e donna, la proiezione sociale della famiglia”.

Più radicali le argomentazioni della parlamentare del Pdl, che non vede in Italia un problema grave e urgente di intolleranza contro le comunità LGBT “se è vero che il nostro paese si attesta al quarto posto nel mondo fra le nazioni più avanzate nell’accettazione dell’omosessualità come testimoniano sul piano politico-istituzionale le storie di Nichi Vendola e Rosario Crocetta”. A suscitare preoccupazione in Roccella è il rischio che per la loro vaghezza le nuove norme vengano interpretate e applicate dai giudici in modo arbitrario ed estensivo, tale da comprimere la libertà di pensiero e l’espressione di opinioni diverse anche sbagliate più che per tutelare omosessuali e transessuali da violenze e discriminazioni effettive”.

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