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Berlusconi non è più sufficiente per far vincere il centrodestra

Dopo le parole solenni, e non certo ancora risolutive, di Giorgio Napolitano, ecco che ormai i destini di Silvio Berlusconi e quelli delle sue vicende giudiziarie sembrano essersi inesorabilmente distinti. Il Cav. ha fatto sapere che lui si occuperà del centrodestra. Mentre quello che sarà di lui non sembra avere più un peso nelle sue scelte politiche.

Un’opzione giusta, tutto sommato. Lo si capisce anche restando al lato umano. Se la politica gli interessa, non è detto che possa farla, ma comunque perché dipendere dalla grazia.

Altro discorso riguarda invece il futuro politico del centrodestra come forza politica e come area elettorale. Qui, dopo la sbornia di berlusconismo delle ultime settimane, è bene fare dei debiti distinguo. Una cosa, infatti, è comprendere che non esiste alcuna possibilità di distaccare l’essenza dell’anti-sinistra italiana dalla figura del leader neo rifondatore di Forza Italia. E questa è una considerazione giusta, ovvia e importante. Altra cosa è fermarsi solo lì, non andando oltre il connubio sbagliato e astratto tra lo spazio non progressista e una specie semi vuota di liberalismo secolarizzato in salsa anglo-laicista, come purtroppo si legge sui giornali in questi ultimi giorni.

È importante essere chiari, insomma, e andare un po’ oltre queste considerazioni poco realistiche, magari di persone che stanno a destra, ma ragionano da sinistra. Infatti, se da un lato il futuro del centrodestra è nella sua ferma e netta alternativa non al PD come tale ma alla sinistra in generale, ecco che il solo Berlusconi e l’ottusa apologia del suo caso personale non possono bastare.
Non si tratta, a ben vedere, come propone Marcello Pera sulla Stampa, di consigliargli di “lasciare il comando”. Anche perché, a parlar chiaro, chi unisce quell’elettorato e chi lo porta a votare? Ma non si tratta, però, neanche di stare solo su Berlusconi non uscendo dalla politica avvocatizia che ha imperato in questi anni.
Il problema vero è dare contenuti, dare pensiero politico, a quello che si può chiamare un “centrodestra integrato”.

I temi su cui puntare sono, innanzitutto, la difesa della libertà. E con questa espressione intendere esattamente garantire che, al contrario della sinistra, nel centrodestra non si sacrifica la libertà per la giustizia, ma si vuole una giustizia compatibile con la libertà. Quindi, offrire una proposta politica in cui non sono i divieti e le leggi, ma i diritti e i doveri a ispirare la rinascita del Paese. Le imprese hanno bisogno di fiducia politica nelle loro capacità di generare profitti e lavoro. Ciò che ostacola questo è pertanto sbagliato.

In secondo luogo, ripartire dalle comunità territoriali. Il nostro non è un Paese che può importare visioni individualiste dall’estero, per il semplice fatto che individualista, grazie a Dio, non lo è per niente. Libertà da noi significa comunità, società ramificate localmente che devono essere aiutate ad agganciare una crescita economica, vedendo valorizzati i tradizionali modi di organizzarsi a partire dalla famiglia.

In terzo luogo, avere il coraggio, come Letta sta dicendo ultimamente, di defiscalizzare a vantaggio della nostra economia e a svantaggio, se non è possibile altrimenti, dell’Europa e dei grandi monopoli internazionali.

Il senso generale è, dunque, non fossilizzarsi su Berlusconi. Guardare piuttosto a come potenziare l’Italia e garantire un progresso nella libertà in un’ottica culturale e politica qual è quella che da sempre muove gli elettori a votare centrodestra. Allora l’alternativa a Renzi non sarà un problema, ma un obbligo di scelta per lui su dove vuole stare.

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