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Papa Francesco e l’Argentina “che parla italiano”

Dei tredici calciatori argentini che si sono alternati nell’amichevole con la nostra Nazionale alla vigilia di Ferragosto, ben sette portavano cognomi italiani. E mancava il più bravo di tutti, che si chiama Messi, perché la famiglia d’origine arrivò a Buenos Aires nella seconda metà dell’Ottocento partendo da Recanati, proprio la patria di Leopardi: poesia e pallone, la stessa forma d’arte per “la pulce”, l’oggi campione e figlio dei figli.

Ma diamo un’occhiata anche agli Azzurri, che hanno perso un po’ svogliati 2 a 1 (si sono svegliati solo alla fine) nella partita in onore di papa Francesco. E scopriamo che uno degli attaccanti si chiama Osvaldo, ma è argentino. Come il pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo”, che è nato oltre l’Atlantico anche lui, ma da padre piemontese.

E allora è arrivato il momento di ricordarlo ai molti governi che l’hanno troppo a lungo dimenticato: l’Italia e “la Argentina” sono nazioni-sorelle. Sorelle separate dall’Oceano e, a volte, da una politica fallimentare, come purtroppo sanno 450 mila italiani che avevano comprato obbligazioni argentine. E che sono rimasti vittime anche loro della terribile crisi economica esplosa da quelle parti alla fine del 2001.

Ma come capita tra parenti stretti, che proprio perché hanno lo stesso sangue e molti sogni in comune sono autorizzati a dirsele di tutti i colori per poi riabbracciarsi, è ora che Roma e Buenos Aires riscoprano quel legame antico e moderno che non è mai venuto meno tra le persone. E che oggi è rappresentato anche simbolicamente da Jorge Mario Bergoglio, un Papa che ha scelto di chiamarsi con l’italianissimo Francesco, che ha ammesso con simpatia la sua difficoltà sportiva, alla vigilia della partita, di tifare per l’una o per l’altra Nazionale del suo cuore e che non perde occasione per dimostrare la continuità sentimentale, caratteriale e persino linguistica fra la “sua” Argentina e l’altrettanto “sua” Italia.

Del resto, fu un altro Jorge, Jorge L. Borges, l’importante scrittore argentino che nulla aveva di italiano in famiglia – ma che amava e considerava Dante “il più grande poeta del mondo” -, a dare un paio di fulminanti definizioni sull’identità dei suoi connazionali. “Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono inglesi”, disse una volta.

Ma a questa battuta, la più celebre, ne seguì un’altra non meno profonda né spiritosa. A chi gli domandava perché non fosse così nazionalista come lo sono, solitamente, gli argentini, Borges rispondeva: “Perché non scorre sangue italiano nelle mie vene”. Ecco, il miscuglio alla pari dell’identità italiana e spagnola (metà della popolazione argentina ha rami italiani in famiglia), ha creato questo mix esplosivo degli argentini sempre espansivi, esageratamente espansivi come gli abitanti di Buenos Aires, detti “porteños”.

Ma questo calore, questa forma di “maradonite” – da Maradona – con atteggiamenti a volte sopra le righe tipico di gente aperta e accogliente, dalle battute pronte e sagaci stile papa Francesco, è l’ennesimo aspetto in comune di due popoli lontani diecimila chilometri tra loro. Non c’è italiano che non sia rimasto incantato e commosso, dopo essere andato in Argentina alla ricerca di parenti mai prima conosciuti.

E non c’è argentino che non rimanga estasiato dell’Italia, questa “patria dei nonni” che laggiù evoca la stessa sensazione del nostro “andare in America” evocato per generazioni.
Sarebbe un delitto, dunque, che il governo, il Parlamento e le istituzioni non prendessero atto di quest’altra immensa, anarchica, ma generosa Italia che vive al di là dell’Atlantico. L’Argentina non è solo un tesoro della nostra memoria in America latina. L’Argentina è soprattutto il ponte di un futuro che solo per la sorella-Italia può arridere, se coltivato con intelligenza e lungimiranza.

L’Argentina e quell’America “che parla italiano” con quasi cinquanta milioni di cittadini discendenti dai nostri emigranti fra Brasile, Uruguay, Venezuela, Cile e altrove, devono tornare a essere un “interesse nazionale”. Papa Francesco e la partita del cuore del 14 agosto con due Nazionali intercambiabili nei nomi e perfino nei campionati (ben nove dei tredici argentini giocano o hanno giocato in serie A), sono il segno della svolta possibile e necessaria.

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