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Sarà il Fmi a compensare la stretta della Fed?

Il summit di Jackson Hole, che, terminato nel fine settimana, ha chiamato a raccolta banchieri centrali ed economisti da tutto il mondo, è stato il gran palcoscenico su cui si sono esibiti gli Emergenti con le loro critiche alle ultime mosse, annunciate e non, della Fed americana. E, nel via vai destabilizzante di capitali, a dover mettere mano al portafoglio potrebbe essere il Fondo Monetario Internazionale.

I Paesi in via di sviluppo, sottolinea il Financial Times, hanno speso gli ultimi cinque anni a chiedere ai Paesi avanzati politiche monetarie più rigide. Ora che questo trend si sta affermando, con la stretta statunitense vicina, le reazioni al meeting annuale di Jackson Hole, a Kansas City nel Wyoming, non sono quelle più attese. Complice l’assenza del governatore Ben Bernanke, al centro del dibattito sono rimasti gli effetti delle mosse americane sull’economia mondiale, con il probabile taglio alle immissioni mensili da 85 miliardi di dollari a partire da settembre.

Le accuse dei Paesi in via di sviluppo

“Il deflusso e la fuga di capitali (sell off), incluse le nuove pressioni dei recenti giorni, restano nel range di altre ondate finanziarie a cui gli Emergenti hanno sopravvissuto con successo negli ultimi anni”, ha spiegato Terrence Checki, a capo degli affari internazionali della Fed di New York. Ma, ha proseguito, potrebbe esserci una maggiore volatilità quando gli Usa cominceranno davvero a stringere i cordoni della borsa e gli investitori presteranno attenzione solo ai fondamentali dei Paesi. “Questo ‘hot money‘, questi capitali vaganti, nel contesto di squilibri sostenuti o debolezza del settore finanziario raramente si dimostrano ottimi affari”, ha sottolineato Checki.

Verso una normalizzazione del mercato monetario globale

E adesso è difficile per gli Emergenti lamentarsi del tapering dopo averlo chiesto a gran voce per anni.
“Credo, e per noi lo sarà in ogni caso, che il processo di uscita dall’allentamento sarà una fase di transizione positiva per avere delle condizioni monetarie globali più normali”, ha spiegato il vice governatore del Banco Central do Brasil, istituto che ha appena deciso una mossa basata su derivati e dollari per sostenere il rischio di un’eccessia svalutazione del real.

Tutta colpa della Fed?

Con la certezza di afflussi di capitali garantiti anche senza politiche economiche disciplinate, gli Emergenti stanno adesso affrontando serie difficoltà. Il dibattito di fondo a Jackson Hole, sebbene affrontato con diplomazia, è se gli squilibri per i Paesi in via di sviluppo sono il risultato inevitabile delle mosse della Fed o se siano la conseguenza di politiche sbagliate da parte della classe dirigente.

La replica degli Emergenti alle giustificazioni americane

“I Paesi che accolgono capitali in entrata hanno il controllo di questi meccanismi e delle condizioni di stabilità che ci sono nei loro Paesi”, ha detto Donald Kohn, ex vice presidente della Fed adesso alla Brookings Institution. “Uno de modi in cui le mosse della Fed sono state trasmesse al resto del mondo è stato con la resistenza ad apprezzare il tasso di cambio in molti altri Paesi”. Ma secondo Augustin Carstens, governatore della Banca centrale del Messico, ha sostenuto che accettare semplicemente un tasso di cambio sempre più alto non era fattibile. “Ad un certo punto è eccessivo”, ha detto. “Un apprezzamento del tasso di cambio reale ha i suoi effetti reali”. E quando questo trend prosegue a lungo, “è perfettamente razionale e desiderabile” annullarlo. Con delle svalutazioni, naturalmente.

I controlli di capitali

Per tutte le preoccupazioni sulle conseguenze delle mosse della Fed, comunque, non c’è una soluzione univoca. In un paper presentato alla conferenza, per esempio Héléne Rey della London Business School ha sostenuto la necessità di una combinazione di controlli di capitali, con le politiche ‘macroprudenziali’ per decidere un giro di vite sulla crescita del credito nei singoli Paesi, e una regolamentazione finanziaria più rigida. “Quelle misure avrebbero mitigato le conseguenze dell politiche di Washington anziché annullarle del tutto”, ha detto.

Le rassicurazioni di Lagarde

Ma il messaggio più rassicurante, tra una critica e l’altra, è arrivato dal numero uno del Fondo monetario internazionale, la francese Christine Lagarde, che ha evidenziato come il mondo abbia bisogno di costruire “linee di difesa più forti” contro un’eventuale crisi dei mercati emergenti, ma che l’istituto con sede a Washington resta pronto a fornire sostegno finanziario. E mentre gli Emergenti traballano, con il taper della Fed all’orizzonte, quel supporto potrebbe rivelarsi necessario davvero, e prima del previsto.

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