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Tre dubbi sui precari assunti dallo Stato

Con l’autorizzazione dell’editore e dell’autore pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi uscito sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.

Infornata di assunzioni nella pubblica amministrazione e per di più per decreto legge. Una emergenza nazionale, dunque, quella di stabilizzare senza concorso con contratti permanenti 60 mila precari della p.a. (in realtà neppure le cifre fornite dal governo sono puntuali), più altri 35 mila nella sanità a cui vanno aggiunti mille nuovi pompieri. Tutti gli altri paesi dell’eurozona in crisi da spread stanno da tempo tagliando organici e stipendi della macchina pubblica per ridurre la spesa corrente, mentre l’Italia delle larghe intese procede, nonostante il differenziale tra Btp e Bund sia tornato sopra 250, a una crescita dei costi fissi futuri per il bilancio dello stato senza molti precedenti.

Una notizia che, ovviamente, non piace ai mercati e agli investitori e che spiega anche la nuova fibrillazione dello spread. E per una ragione semplicissima: in questo modo il pil italiano è manipolato al rialzo e il confronto con quello degli altri paesi dell’eurozona diventa ancora più difficile. Le convenzioni per il calcolo della ricchezza annualmente prodotta da un paese sono utili per scoprire l’arcano. Quando un bene o un servizio è prodotto da un’impresa privata il suo costo finale di scambio finisce nel computo del pil annuo. Una Fiat 500 prodotta nel 2013 contribuisce per, diciamo, 12 mila euro al pil italiano. Ma quando si tratta di p.a. che eroga servizi senza corrispettivo sono i costi di produzione che «si fanno» pil. Il costo del personale pubblico, senza alcuna correzione da parte della produttività, si aggrega e si trasforma in ricchezza prodotta. Più dipendenti ha la p.a. più elevato è il suo contributo al pil annuo.

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