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Ecco i pasticci che sta combinando l’ottimo governo Letta

Ascoltando, da sostenitore speranzoso, in diretta tv, le comunicazioni sulla fiducia di Enrico Letta alla Camera mi colpì una citazione di Beniamino Andreatta  secondo il quale niente precludeva a partiti divisi sulla politica  di trovare delle intese sulle politiche. Il gioco di parole era abile: un’attenta capacità di mediazione sulle cose da fare poteva rappresentare la polizza per la sopravvivenza del governo delle larghe intese da cui, in quel momento, tutti prendevano le distanze come da un “figlio della colpa”, prima della riforma del diritto di famiglia.

I ladri di Pisa
Del resto, a conferma dell’assunto, durante i primi mesi di attività, non solo Pd e Pdl,  sulle politiche, sono andati d’accordo come i ladri di Pisa (quelli che, secondo il proverbio, litigano di giorno ma di notte vanno a rubare insieme), ma il premier ha saputo utilizzare abilmente e spregiudicatamente  le  politiche, per poter tirare avanti con la politica. La vicenda dell’Imu è emblematica. Solo i trinariciuti del Pd possono attribuire l’abolizione di questa imposta ad una vittoria (di Pirro) del Cavaliere ormai prossimo ad essere disarcionato, in un modo o nell’altro. Il vero vincitore è Letta, insieme al suo alleato Angelino Alfano e alle colombe del Pdl. Per convertire il decreto occorrono almeno 60 giorni, tutti destinati ad allungare comunque la vita dell’esecutivo, prima già a rischio a partire dal 9 settembre. In sostanza, la nuova minaccia di far cadere il governo, se il Pd voterà per la sua decadenza, sta a dimostrare che il Cav si è accorto della trappola.

Un nuovo esecutivo Letta-bis
Se, durante i 60 giorni dedicati alla conversione in legge non si troverà un marchingegno  per spostare in avanti anche il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi, si verificherà la bizzarra circostanza per cui il Pdl dovrà scegliere tra una crisi di governo che si riverserà sul decreto Imu (il risultato che il partito intende spendere in campagna elettorale) e l’obbedienza cieca ed assoluta al leader.  Certo, l’invio di un quesito alla Consulta sulla questione cruciale della retroattività delle norme introdotte dalla legge Severino  salverebbe capra e cavoli (ricordiamo, per inciso, che la norma di delega è aperta fino a tutto novembre, il che consentirebbe eventualmente di correggere il decreto legislativo); ma il Pd ce la farà a resistere, sotto congresso, per qualche settimana?  Un nuovo esecutivo Letta-bis, ora, dopo le nomine dei nuovi senatori a vita, potrebbe contare pure su quattro voti in più a Palazzo Madama.

L’Imu
Tornando all’Imu, Enrico Letta ha tenuto un atteggiamento da scafato leader (ex)democristiano. Non già degli esponenti adamantini, saldi nei principi, diritti come fusi, come Mino Martinazzoli o Benigno Zaccagnini o persino il suo maestro Nino Andreatta. Quella del premier è stata una linea di condotta, tutto sommato, più degna di Giulio Andreotti (all’insegna del motto invertito “mi piego ma non mi spezzo”). Mi è tornato alla mente, infatti, come nacque, nel 1989, il sesto governo Andreotti.  Il precedente esecutivo, presieduto da Ciriaco De Mita, era stato costretto alle dimissioni a colpi di demagogia sindacale (e della sinistra comunista) per aver introdotto un ticket sui ricoveri ospedalieri (misura sacrosanta, ora in vigore ovunque dopo che la sanità è stata trasferita alle Regioni).

Quando lo sostituì per il suo settimo ed ultimo governo, Andreotti impiegò appena cinque minuti per abolire quella norma tanto controversa. Letta, con l’Imu, ha avuto bisogno di più tempo, soltanto perché la misura doveva essere coperta con alcuni miliardi di euro, non con i 300 milioni di lire relativi al ticket ospedaliero. In sostanza, se abbiamo ben compreso, ambedue le rate del 2013 dell’Imu, con riferimento alla prima casa,  vengono soppresse (e non pagate, anche se non è ancora ben chiaro dove si troverà la copertura).

E il Pd?
Poi, dal 2014, l’imposta farà come il Pci: cambierà nome. Da balzello  sulla casa diventerà tassa sui servizi di cui le famiglie godono per il solo fatto di abitare (a titolo di proprietà o di locazione) in una casa e in una città. E il Pd? Perennemente sofferenti della sindrome dello scorpione che non esita a pungere la rana che lo porta sul dorso per guadare un fiume, settori del Pd stanno pesando con il bilancino quanto, con l’ultimo decreto, è stato concesso al Pdl e a loro. Eppure nella mediazione politica non mancano ulteriori salvaguardie per gli esodati e il rifinanziamento della cassa in deroga (quando finirà la storia per cui a talune imprese la cig la debba pagare lo Stato, mentre altre se la pagano da sole?). Ma il gran botto – la madre di tutte le mediazioni sulle politiche allo scopo di far avanzare la politica – è attesa in occasione della sfida d’autunno: gli interventi sulla previdenza. Il carnet è ricco:  si va da come meglio perseguitare, a fini di giustizia, le c.d. pensioni d’oro a come portare ancora acqua al mulino, non solo degli esodati, ma anche degli esodandi, attraverso qualche marchingegno “politicamente corretto”, di quelli che troverebbero posto in un libro Cuore sulle pensioni.

A questo proposito, oltre alla c.d. flessibilità del pensionamento (che abbasserebbe l’età di vecchiaia e rimetterebbe in campo, in pratica, i trattamenti di anzianità: un’operazione che richiederebbe una decina di miliardi a regime) il ministro Enrico Giovannini (che pure è consapevole dell’importanza strategica di non stravolgere la riforma Fornero) ha proposto, in una intervista ad un quotidiano economico,  una sorta di anticipazione/prestito  di una quota dell’assegno pensionistico per chi dovesse perdere il lavoro qualche anno prima di aver maturato i requisiti. Fredda la reazione dei dioscuri Maurizio Sacconi del Pdl e di Cesare Damiano del Pd, (rispettivamente presidenti delle Commissioni Lavoro del Senato e della Camera), i quali hanno chiesto al ministro l’apertura di un tavolo dove affrontare, nella maggioranza, il problema della revisione della riforma Monti-Fornero.  Come se, in materia, nella coalizione esistesse ormai un pensiero unico. Tutto ciò in un contesto autunnale dove arriveranno all’appuntamento con la legge di stabilità tante misure economiche prive di copertura finanziaria.  Che altro dire se non: cara  politica quante politiche sbagliate in tuo nome?

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